Meloni agli ambasciatori: dobbiamo tutti usare di più la lingua italiana, io per prima

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Intervenendo oggi alla Farnesina, il ministero degli esteri italiano, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha parlato anche di lingua italiana. In un modo inedito e, troviamo, piuttosto profondo e interessante. Qualcosa che sembra finalmente andare un po’ al di là della solita retorica, o almeno ci piace vederla così.

Rivolgendosi ai diplomatici italiani, costruttori di ponti lungo i quali “far camminare la nazione”, ha ricordato quanta “disponibilità” ci sia in giro per il mondo nei confronti dell’Italia, anche per la sua cultura e la sua unicità.

Ecco le sue parole:

 

Dice Meloni in questa piccola ma intensa digressione sull’italiano

La lingua è uno straordinario diplomatico, per la nostra cultura. E invece mi accolgo di come noi tutti – tutti, a partire da chi ha incarichi di responsabilità, a partire dalla sottoscritta, che si considera una grande patriota – alla fine veniamo travolti dall’uso di queste parole straniere. I francesismi, gli inglesismi, quando se ci pensate bene, per ciascuna di queste parole che noi utilizziamo riprendendola da una lingua straniera, nel corrispettivo italiano esisterebbero probabilmente almeno quattro o cinque parole diverse. Perché la nostra è una lingua molto più complessa, molto più carica di sfumature. […] E allora, utilizzare noi il più possibile l’italiano – questo lo faccio come richiamo a me stessa prima ancora che a tutti gli altri – non solo vuol dire ovviamente valorizzare e difendere un elemento fondamentale della nostra cultura ma significa anche difendere la profondità della nostra cultura, la nostra capacità di guardare il mondo, da sempre, attraverso una lente che ha sfumature molto più colorate di quelle che spesso vediamo al di fuori dei confini nazionali.

Poche frasi ma che sottilineano concetti chiave, che noi di Italofonia portiamo avanti da sempre. La lingua come unicità e come modo unico di vedere e interpretare il mondo, “da sempre chiave di volta del nostro successo”. Qualcosa che dunque va difeso dall’omologazione, il rischio più grande che deriva dall’abuso dell’inglese e degli anglicismi. La lingua come vettore di questa unicità nel mondo, un “diplomatico”, un ambasciatore dell’italianità e dei suoi valori nel mondo.

Forse in questi pochi minuti di discorso c’è la presa di coscienza che per promuovere l’italiano all’estero (e attraverso di esso l’Italia) bisogna prima promuoverlo in Italia. Perché gli italiani sono i primi a non credere alla propria lingua, a svilirla, a deprezzarla. Lo stato è il primo colpevole, attraverso la scuola – come diceva Claudio Marazzini la scorsa settimana – attraverso scelte politiche precise, e attraverso l’uso smodato di anglicismi da parte di “chi ha incarichi di responsabilità” come dice oggi Meloni. E come noi, con Antonio Zoppetti, gli Attivisti dell’italiano e i firmatari abbiamo sostenuto nella petizione del 2020 al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Mario Draghi si era chiesto “perché usiamo così tante parole inglesi“, aveva usato in Parlamento la parola “governo” invece di “governance“. Ma la nuova presidente del consiglio fa un passo ulteriore.

Speriamo che possa essere un primo passo verso la seria discussione di una politica linguistica per l’italiano, che da sempre appoggiamo e che abbiamo cercato di innescare con la proposta di legge dal basso presentata alle camere nel 2021 e mai discussa dai parlamentari italiani.

Una volta che l’italiano avrà di nuovo la fiducia della propria comunità parlante, che avrà garantito il ruolo che da sempre gioca nel parlare di tutto, compresa la scienza e l’alta tecnologia, accanto all’inglese o a qualsiasi altra lingua ma con un suo spazio preciso e inattaccabile, allora potrà diventare uno strumento di promozione del Paese in un mercato delle lingue sempre più competitivo.

Giorgia Meloni ne è consapevole, e nel suo discorso lo sottolinea, insieme alle criticità. Dice infatti che non dobbiamo essere così ingenui da pensare di poter “vivere di rendita”, perché la competizione globale anche sul piano culturale è diventata molto accesa.

Lo vediamo in aree del mondo come i Balcani occidentali, la Libia, la Somalia e gli altri paesi del Corno d’Africa, dove la politica culturale turca insidia il ruolo storico dell’italiano. Turchia che ha creato da tempo un’Organizzazione delle lingue turche, come esiste quella della lingua olandese, la più nota OIF della Francofonia e anche la Comunità dei Paesi di lingua portoghese (cui l’Italia partecipa come osservatore!). Ma non esiste oggi alcun progetto di una Organizzazione dell’italofonia che possa avvicinare l’Italia alla Svizzera, al Vaticano, a San Marino, Malta, Istria slovena e croata, Brasile, Uruguay, e l’Argentina oggi alla ribalta per motivi calcistici. Dove metà della popolazione è di origine italiana e l’italiano è la lingua straniera più studiata dopo l’inglese.

Chiudiamo quest’anno con un po’ di fiducia, dunque, e cercheremo senza dubbio di far sentire la nostra voce al governo perché la lingua italiana resti centrale nella politica italiana sia in patria che al di fuori.


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