Meloni a Tokyo e l’italiano in Giappone

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La presidente del consiglio italiana, Giorgia Meloni, ha appena concluso il suo viaggio istituzionale nella capitale del Giappone, dove l’Italia ha preso simbolicamente il testimone alla guida del G7.

Intervistata dai giornalisti italiani, le è stato chiesto se avesse parlato in giapponese al primo ministro nipponico. Per quanto poliglotta, Meloni ha confessato di non conoscere ancora questa lingua. Però ha fatto cenno a un fatto interessante. Ha detto che, incontrando gli amministratori delegati (già, purtroppo in realtà ha detto CEO, pronunciato “sio”) di grande aziende giapponesi, si è resa conto di come diversi di loro parlassero un po’ di italiano. Segno di una presenza del mondo e di una forza culturale dell’Italia che spesso in patria si ignora.

Tutto questo è vero, e ci duole dover constatare che anche questo governo continua a denigrare la nostra lingua, persino nelle piccole cose, come la sua quasi totale assenza nelle scritte ufficiali a Roma in occasione del vertice ItaliAfrica della scorsa settimana. Quasi assente come del resto le altre lingue ufficiali dell’Unione africana, francese, spagnolo, portoghese e arabo.

Vogliamo in ogni caso cogliere l’occasione per fare un cenno alla situazione della nostra lingua in Giappone. Un Paese dove, molti turisti lo constatano di persona, la popolazione parla poco e male l’inglese, giovani compresi. Nonostante questo il Giappone resta tra le mete turistiche più visitate del pianeta e uno dei paesi più alfabetizzati e più avanzati tecnologicamente, quarta economia mondiale.

Per quanto gli studenti universitari chiedano un maggiore (e migliore) insegnamento dell’inglese, resta forte la richiesta di apprendere anche altre lingue straniere. Una ricerca di Imamura (2018), fatta in occasione dell’apertura di un centro di autoapprendimento linguistico all’interno di un’università giapponese, ha messo in evidenza come il 66% degli studenti che hanno partecipato al questionario abbia espresso interesse verso altre lingue diverse da quella inglese.

Nel suo testo del 2021 sull’italiano in Giappone, edito dall’Università Ca’ Foscari di Venezia, il professor Giuseppe Maugeri mostra come la nostra lingua, per quanto i giapponesi nutrano profonda ammirazioni per prodotti e stile italiani, resti la meno insegnata a livello universitario tra quelle europee, come mostra questo grafico:

Nella prospettiva temporale considerata nel grafico, la lingua italiana non ha mai riscontrato un processo significativo di crescita né di
erosione, a cominciare dalla sua diffusione più sistematica (2001-02).
Nonostante la potenzialità educativa della lingua e della cultura italiane e l’attrazione che esse esercitano in Giappone, l’offerta di italiano nelle università non ha mai conosciuto una spinta curricolare e diversificata nelle proposte volte a sviluppare un approccio strategico e trasversale tra la lingua e le sue molteplici espressioni culturali per cui l’Italia è nota in Giappone.

Secondo l’autore dell’analisi, l’aspetto culturale e linguistico non ha tratto beneficio, perlomeno in Giappone, dalla nuova strategia internazionale che dai primi anni duemila ha visto l’Italia puntare sulle proprie eccellenze. Constatare che la lingua italiana era già presente e visibile nei cartelloni pubblicitari o che veniva insegnata nel canale televisivo ha portato forse ad affermare che i tratti inclusivi della promozione della lingua intrapresa erano corretti e non andavano perciò rettificati a medio termine.

I dati dimostrano che occorre invece un ripensamento delle modalità di diffusione dell’italiano in un Paese nel quale non attecchisce né una strategia fondata sulla competitività calata dall’alto né una politica linguistica di tipo verticale, esterna ed estranea rispetto a quanto succede e si sviluppa nel territorio, lontana dai bisogni dei propri potenziali clienti.

L’Istituto Italiano di Cultura di Tokyo ha come principali fruitori giapponesi tra i 50 e i 70 anni di età. Persone in pensione che dunque dedicano il tempo libero allo studio dell’italiano, per passione. Sembrano invece mancare corsi e contenuti adeguati agli studenti che cercano l’italiano per motivi di lavoro o per fare esperienze di studio in Italia.

Il Giappone ama l’Italia. Lo si capisce da grandi e piccoli cose, dai riferimenti nel cinema d’animazione, ai nomi italiani di auto o di squadre di calcio giapponesi.

Fa dunque piacere che la presidente Meloni abbia trovato sul campo persone che hanno avuto successo nel lavoro e che conoscono la nostra lingua. Speriamo che l’episodio susciti curiosità e che spinga a dare nuovo impulso alla diffusione culturale e linguistica in Giappone e in un’area importante come quella asiatica, finora tra le più trascurate nell’insegnamento dell’italiano.


Fonti: agenzia Vista – Giuseppe Maugeri, L’italiano in Giappone, ed. Ca’ Foscari

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