Anglicismi in italiano: qualche punto di vista dall’estero

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In Italia la battuta di Mario Draghi sull’eccesso di anglicismi in italiano e la presentazione di una proposta di legge apartitica in merito, hanno portato l’attenzione dei mezzi d’informazione e dei comuni cittadini su questo tema. E di conseguenza innescato la discussione, con le inevitabili polemiche. Uno dei cavalli di battaglia degli anglofili duri è puri è che gli anglicismi siano un segno dei tempi: l’inglese è “la lingua del mondo”, molte parole inglesi sono “internazionalismi usati ovunque” e volerli cambiare è “autarchia linguistica” chiusa e provinciale.

Abbiamo già affrontato molti di questi luoghi comuni e dato un’occhiata a quanto avviene in altri Paesi. In questo articolo vorremmo invece presentarvi due punti di vista, diversi tra loro, che dall’estero danno un giudizio dell’atteggiamento italiano verso i termini inglesi puri. Nessuna valenza statistica, ma riteniamo comunque interessante presentarveli.

Il primo punto di vista viene da una una giovane polacca laureata in Filologia italiana presso la prestigiosa università Jagellonica di Cracovia. Si chiama Oliwia. Alla lingua italiana ha dedicato anche un blog dal titolo “Italo-Polacca” dove tratta, in polacco, temi legati alla lingua e alla cultura italiane.

Uno dei suoi articoli più recenti affronta proprio l’argomento degli anglicismi in italiano. Vediamo allora cosa dice (potete farlo anche voi aiutandovi con un traduttore automatico 😉 ) in modo da avere il punto di vista di una persona che la lingua italiana l’ha scelta e la “vive” fuori dall’Italia, in un contesto non italofono.

La prima domanda che molti italiani si fanno su questo tema è: ma davvero le parole inglesi in italiano sono così tante? Forse no. Forse non c’è poi da preoccuparsi ed è solo la paranoia di qualche catastrofista.

Bene, l’articolo della nostra Oliwia inizia così: “Studiando l’italiano, leggendo articoli in italiano sui giornali, giorno dopo giorno, ci si accorge di una grande quantità di anglicismi. Il che, dalla prospettiva di uno straniero che impara l’italiano, fa un po’ ridere”.

Non solo fa ridere, ma sembra proprio un controsenso. Nel mondo l’italiano è studiato per tanti motivi, spesso per piacere, per amore (di un/a italiano/a oppure dell’Opera lirica o della nostra letteratura) e allora, si chiede Oliwia, “se noi [stranieri] amiamo così tanto l’italiano, perché gli Italiani ci riempiono di accessori inglesi? Ce n’è davvero bisogno? Non si può invece cercare di usare le autentiche parole italiane?”

Ma ciò che sembra maggiormente sconcertare la nostra filologa è la combattività sulle reti sociali di tanti Italiani contro la propria lingua e in favore degli anglicismi. Tra gli argomenti più gettonati c’è quello secondo cui gli anglicismi sono “naturali” perché “si viaggia, le lingue si mescolano ed evolvono”. Certo, ma “fino a un certo punto. Oltre una certa percentuale bisogna iniziare a domandarsi come parliamo e quali parole scegliamo di usare”. E a questo punto ci fa piacere notare che Oliwia è una nostra lettrice, cita alcuni dati di Antonio Zoppetti da noi riportati, sulla dimensione del fenomeno. E trova la media di 60 nuovi anglicismi crudi all’anno, “spaventosa”. “Sessanta parole introdotte ogni anno nella bella lingua italiana, non è spaventoso?”.

Questa è la personale opinione di una persona che ha scelto di dedicare la sua carriera alla passione per la nostra lingua. Ma l’anglomania degli italiani ha suscitato curiosità anche da parte della stampa estera. Per esempio lo scorso marzo il quotidiano spagnolo “El Confidencial” ha pubblicato un articolo intitolato: Anche Draghi si stanca degli anglicismi in Italia: “Qualcuno sa perché li usiamo?”.

Il testo prende le mosse dalla recente battuta del presidente Mario Draghi sull’eccesso di anglicismi. “L’Italia è un paese unico in questo senso e gli anglicismi fanno parte della quotidianità. Quando vivi qui, è difficile liberarsene. Ad esempio, la maggior parte dei media e degli stessi politici hanno usato il termine “lockdown” per riferirsi al confinamento dall’inizio della pandemia”, commenta il giornalista spagnolo.

Dopo aver scritto che “l’abuso dell’inglese è diventato qualcosa di quasi comico su cui spesso gli italiani si interrogano”, l’articolo si conclude con le parole, tradotte e virgolettate, prese dalla petizione dell’anno scorso a Sergio Mattarella:

La preghiamo, infine, di incoraggiare una campagna mediatica per difendere e favorire l’italiano che denunci l’abuso dell’inglese, come si è fatto con successo in Spagna o in Francia, e come da noi è avvenuto per sensibilizzare tutti sui temi sociali più importanti, dalla violenza contro le donne al bullismo. Ci piacerebbe vedere un’analoga iniziativa anche contro la discriminazione lessicale delle nostre parole.

A sorprendere è soprattutto il fatto che le oltre 4000 firme raccolte nel 2020 da quella petizione – sempre in attesa di una risposta – sono arrivate solo ed esclusivamente dal passaparola in Rete. In Italia non è uscita una sola riga su alcun giornale, in proposito, mentre la notizia è invece apparsa per esempio su Corsica Oggi oppure sulla svizzera Rivista.ch e persino su una rivista irlandese in gaelico. Anche le istituzioni linguistiche italiane, dalla Crusca alla Dante, l’hanno ignorata, al contrario di quanto ha fatto per esempio l’Istituto Italiano di Cultura di Lima, che l’ha rilanciata dalle sue pagine Facebook.

Forse, come scrivono gli amici di Italiani.it, l’italiano è una lingua più amata all’estero che in patria. La buona notizia è che le parole di Draghi hanno dato il la a un’iniziativa dal basso che, come scrivevamo in apertura, ha portato ai due rami del parlamento italiano una proposta di legge per una politica linguistica equilibrata ma incisiva, per la salvaguardia e la promozione della lingua italiana.

Il testo della proposta, presentata da alcuni cittadini avvalendosi dell’articolo 50 della Costituzione, è stata assegnata alle Commissioni cultura sia della Camera che del Senato, ma ora occorre che qualche parlamentare se ne faccia carico e la porti in aula. Per questo il collettivo Attivisti dell’italiano, che supporta la proposta, ha lanciato una campagna di raccolta firme per “convincere un parlamentare”, che un paio di settimane grazie al solo passaparola ha superato le 700 firme.

Leggi qui la proposta e firma per aiutare la nostra lingua

 


Foto di Andrys Stienstra da Pixabay


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