Calcio, il campionato italiano all’estero si chiamerà “Serie A Made in Italy”. Costo: 10 milioni l’anno

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Dal prossimo anno il campionato italiano di calcio sarà diffuso all’estero con il nome di “Serie A Made in Italy”, e non più semplicemente Serie A. Si tratta probabilmente di una sponsorizzazione del governo italiano, che secondo quanto dichiarato al quotidiano spagnolo AS dall’AD della Lega di Serie A Luigi De Siervo, finanzierà con 10 milioni di euro a stagione il cambio di nome. Soldi pubblici, pagati dunque dai contribuenti italiani. Dopo la Coppa Italia, a cui è stata aggiunta la dicitura Frecciarossa (ma in passato fu addirittura TIM Cup), ora tocca al massimo campionato.

Il calcio è un’eccellenza italiana che ha esportato anche la nostra lingua all’estero, nei nomi di squadre e sugli striscioni dei tifosi di Nord Africa e Indonesia, come forse pochi sanno. Ma mentre il Barcellona usa il catalano come tratto distintivo, le squadre italiane usano ormai termini come “Starting XI”, “matchday”, “final score”, se non addirittura video e campagne pubblicitarie interamente in inglese. Ora l’inglese entrerà direttamente nel nome del campionato.

Quella del governo per il marchio “Made in Italy” pare una vera e propria ossessione.  L’esecutivo Meloni infatti in questi mesi ha usato questa denominazione un po’ ovunque: dall’ex ministero dello Sviluppo economico, ribattezzato Ministero delle Imprese e del Made in Italy, al nuovo liceo, immaginato per promuovere arti e mestieri, legati alle manifatture di punta del Paese.

Risulta però che già il precedente governo, con Luigi Di Maio ministro degli esteri, avesse stretto accordi con la Lega calcio nell’ambito della campagna BeIT. Secondo quanto si può ricavare dal sito dell’Ice, l’istituto per il commercio estero della Farnesina, l’agenzia ha versato alla Lega Serie A un contributo di 10 milioni di  euro. Si tratta della stessa cifra a cui fa riferimento De Siervo, a proposito della futura intesa, per mettere il bollino ‘Made In Italy’, sulle partite del campionato, trasmesse all’estero l’anno prossimo. Viene quindi facile ipotizzare che il nuovo accordo possa essere, nei termini e nelle modalità, un seguito di quello precedente per la campagna BeIT, con un cambio del marchio, più allineato alle parole d’ordine del nuovo governo.

L’annuncio di De Siervo – che aveva poco prima tessuto le lodi delle tre squadre italiane in altrettanti finali europee, portando una jella che fa toccare ferro ai tifosi interisti in vista della finale di questa sera a Istanbul – è giunto probabilmente in anticipo rispetto ai tempi stabiliti per comunicare il nuovo partenariato col governo. Lasciando i contorni dell’operazione ancora fumosi. Ma una certezza l’abbiamo: i governi cambiano ma l’idea che all’estero non si possa usare che l’inglese è ormai radicata. Persino da parte di un esecutivo che a parole (e con un paio di proposte di legge di Menia e Rampelli) difende la lingua italiana e vuole farne un volano per la nostra economia nel mondo. Lo testimonia la controversa campagna Open to Meraviglia da poco cominciata.

Per quanto Made in Italy sia una locuzione ormai in uso da molti anni, ci piacerebbe vedere un cambio di passo. Per esempio, il coraggio di creare un Ministero dell’Eccellenza italiana e un omonimo liceo, così da tagliare i ponti con la scelta di dare nomi ufficiali inglesi a ministeri e scuole dell’ordinamento italiano.

Perché per tutelare e promuovere la lingua italiana c’è un primo, semplice passo che si può compiere a costo zero: usarla.

 

 

 


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