Alle camere Meloni (con qualche anglicismo di troppo) parla di promuovere l’italiano all’estero

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Nel suo discorso alle camere Giorgia Meloni ha parlato esplicitamente di lingua italiana, secondo quanto stava scritto nel programma elettorale del suo partito e della coalizione di Centrodestra.

Ecco il passaggio esatto:

[…] E aggiungo che tornare a puntare sul valore strategico dell’italianità vuol dire anche promuovere la lingua italiana all’estero e valorizzare il legame con le comunità italiane presenti in ogni parte del mondo che sono parte integrante della nostra.

Ovviamente nessuno dei principali mezzi d’informazione italiani fa il benché minimo cenno a questo punto del discorso. Non ci stupisce, purtroppo.

Si parla dunque di promuovere l’italianità attraverso la lingua, anche come strumento di rapporto con l’enorme comunità di italodiscendenti nel mondo (almeno 80 milioni secondo le ultime stime, superiore alla popolazione residente in Italia).

Chi ci segue da un po’, sa che siamo totalmente d’accordo con questo approccio. L’insegnamento e la diffusione della nostra lingua nel mondo solo un tassello importante nella costruzione di quel potere dolce che può diventare anche volano di influenza internazionale e di crescita economica per il Paese. L’averlo dichiarato nel discorso programmatico rivolto ai due rami del Parlamento italiano è un ottimo segno.

Ciò che invece ci dispiace è che manchi completamente la consapevolezza che oggi occorre una promozione dell’italiano anche in Italia. Soprattutto in Italia.

La presidente Meloni e i membri della sua maggioranza dovrebbero infatti chiedersi come, nel medio e lungo periodo, potremo promuovere all’estero una lingua che in Italia non potrà più essere usata nelle università, che non potrà essere usata in lavori di ricerca scientifica pena la non assegnazione dei fondi, che in Italia non viene usata neanche per chiamare la propria Squadra olimpica, la compagnia aerea di bandiera, i servizi delle Poste nazionali, che nei posti di lavoro sarà scomparsa da bandi di gara e contratti per essere usata solo nel linguaggio orale (infarcita di anglicismi).

Anglicismi che non sono mancati nel discorso di Giorgia Meloni. Non tantissimi, ma in larghissima parte evitabili facilmente. Accanto all’uso – va detto – delle locuzioni “tassa piatta” (mai flat tax), “energia/transizione verde” (mai green) e di una perifrasi per indicare i giovani che si autoescludono dal circuito formativo e lavorativo (invece di usare il termine Neet), sono spuntati know-how, cybersecurity, welfare, fringe benefits, e nella conclusione finale, per sottolineare di essere sempre partita sfavorita, svantaggiata dalla propria condizione sociale, Meloni di definisce una underdog. Specificando, certo, che si tratta di “quello che gli inglesi definirebbero”.

Sia chiaro, ognuno parla come vuole, ci mancherebbe altro. Ma chi ricopre certi ruoli ha maggiori responsabilità, anche dal punto di vista linguistico. Infatti “underdog” è la parola che oggi, il giorno dopo, più ricorre sui giornali italiani e sulle TV:

Immagine di Peter Doubt per Campagna per salvare l’italiano

 

Se guardiamo ad altri anglicismi entrati nel recente passato attraverso la stampa (lockdown, cashback, ecc…), possiamo pronosticare che anche underdog possa attecchire e uccidere i corrispettivi italiano come favorito e svantaggiato, in contesti sempre maggiori. Speriamo che in questo caso la nuova presidente del Consiglio “sovverta i pronostici”, come dice di voler continuare a fare.

Un altro brutto segnale di questo Governo in materia linguistica è la scelta di dare a uno dei ministeri un nuovo nome, mezzo inglese. Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy.

L’espressione Made in Italy, purtroppo, è ormai diffusa e consolidata, nonostante rappresenti l’ossimoro di celebrare la propria eccellenza e la propria unicità ricorrendo a una lingua altra, diffusa globalmente, omologante. Il punto dunque non è sostituire questa espressione in generale, ma valutare attentamente l’opportunità di usarla dentro il nome ufficiale di un dicastero, riproponendo ciò che avvenne anni fa con il ministero del Welfare. Possiamo decidere di non sostituire sempre welfare con benestare (in spagnolo, ad esempio, è bienestar), però possiamo usare il nome italiano “Ministero del lavoro e delle politiche sociali”. E allora potremmo avere quello delle Imprese e delle Eccellenze italiane, o dei Prodotti italiani, o del Marchio Italia (nome usato da Meloni). Invitiamo tutto a farsi sentire in questo senso.

Questo governo mette l’identità, l’orgoglio nazionale e la valorizzazione della propria cultura al centro del proprio programma, senza dubbio. Perlomeno nelle dichiarazioni d’intenti. Speriamo allora che questo terreno sia più fertile che in passato, per cercare di far capire a chi ha assunto responsabilità di governo, che la lingua italiana è parte del nostro patrimonio e che per poterla valorizzare la si deve anzitutto far restare viva, vivace, attuale, in grado di esprimere qualunque campo del sapere, a partire dall’interno dei confini nazionali prima ancora che al di fuori. Una lingua è tale perché qualcuno le ha fatto “fare carriera”. Deve tornare il tempo in cui l’Italia fa avanzare la propria lingua, invece di svilirla e limitarla.

Noi di Italofonia, con il vostro aiuto, faremo come sempre tutto ciò che possiamo per sensibilizzare politici e cittadini su questo tema cruciale.

 


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