La maggioranza propone la sua politica linguistica: oggi è cominciato l’iter parlamentare

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La proposta di legge recante “Disposizioni per la tutela e la promozione della lingua italiana e istituzione del Comitato per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana”, presentata lo scorso 23 dicembre alla Camera dei deputati, è stata “stampata” ieri, e questo atto decreta, da oggi 31 marzo 2023, l’inizio del suo percorso nel parlamento italiano, che dovrebbe arrivare alla discussione in aula e alla votazione. Il testo è stato assegnato alle Commissioni riunite I Affari Costituzionali e VII Cultura in sede Referente. A questa pagina se ne potrà seguire l’iter.

Questo progetto legislativo si inserisce nel solco della proposta di ufficializzazione della lingua italiana in Costituzione, e ci sono pochi dubbi che esso rappresenti quella “legge ordinaria” cui faceva cenno Federico Mollicone e che traccia di fatto una vera e propia politica linguistica.

In queste ore sui mezzi d’informazione italiani e sulle reti sociali si discute molto della proposta, il cui primo firmatario, l’on. Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia, da sempre insiste sul ruolo identitario della lingua per la comunità nazionale italiana. Ruolo innegabile, ma che a nostro avviso, non deve trasformare il dibattito sulla tutela e la promozione dell’italiano in Italia in una battaglia di parte e di partito.

Ma andiamo con ordine, leggendo il contenuto di questa proposta di legge, la n. 734.

Nel preambolo, si richiamano le motivazioni per le quali questa legge viene proposta.

Tra qualche imprecisione (tra cui il classico ruolo di quarta lingua più studiata al mondo), si ricorda l’importanza – sacrosanta – del contributo della lingua italiana e della sua letteratura alla cultura mondiale, e il suo ruolo nell’identità nazionale del Paese. Si passa poi ad elencare alcune delle sfide e delle minacce che la nostra lingua, come scriviamo da sempre, si trova ad affrontare:

Sono ormai anni che studiosi, esperti e istituzioni come l’Accademia della Crusca denunciano il progressivo scadimento del valore attribuito alla nostra lingua e segnalano l’importanza di una maggiore tutela dell’italiano e del suo utilizzo anche nella terminologia amministrativa da parte dello Stato, delle sue articolazioni territoriali e degli strumenti di diffusione culturale pubblici e a partecipazione pubblica, come la RAI. L’uso sempre più frequente di termini in inglese o derivanti dal linguaggio digitale è diventato una prassi comunicativa che, lungi dall’arricchire il nostro patrimonio linguistico, lo immiserisce e lo mortifica. Negli ultimi anni le parole prese a prestito dal mondo anglosassone sono diventate sempre più numerose, tanto da aver portato alla creazione del termine « itanglese » per definire l’intrusione di vocaboli inglesi nella
nostra lingua che, spesso, rasenta l’abuso.

Forte accento sul tema dell’itanglese e menzione dello scadimento del valore attribuito alla nostra lingua, che finora si è tradotto a nostro avviso in una vera e propria politica contro l’italiano da parte dello Stato.

Si citano poi dati sul proliferare degli anglicismi, dati che grazie al prezioso lavoro di Antonio Zoppetti e di altri, da anni diffondiamo e aggiorniamo. Li trovate nel nostro rapporto sull’anglicizzazione dell’italiano 2023, mentre nel libro bianco sulle politiche linguistiche, trovate cenni alla legge Toubon francese e ad altri casi, che anche la proposta di legge cita ad esempio. Non manca, infine, un riferimento al peso dell’italiano nell’Unione europea dopo la Brexit (dove è la terza lingua per numero di parlanti madrelingua dopo tedesco e francese).

Per riassumere, questa legge dunque “con l’intento di tutelare il patrimonio linguistico italiano, garantisce l’utilizzo della lingua italiana nella fruizione di beni e di servizi, nell’informazione e nella comunicazione, nelle attività scolastiche e universitarie, nonché nei rapporti di lavoro e nelle strutture organizzative degli enti pubblici e privati. Essa prevede, altresì, l’istituzione del Comitato per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana, concepito come un organismo di ausilio al Governo nazionale, in cui la componente politica e quella culturale e accademica possano confrontarsi nell’ambito delle rispettive competenze.”

Il fine ultimo è spiegato nella chiusura:

Si tratta di previsioni che rappresentano un argine al dilagare dell’utilizzo di termini stranieri al posto di quelli italiani e uno strumento per rimuovere le barriere linguistiche che limitano la partecipazione dei cittadini italiani alla vita collettiva.

 

Passiamo ora agli otto articoli che compongono la legge e che vi presentiamo integralmente:

 

Art. 1.
(Princìpi generali)

1. La lingua italiana è la lingua ufficiale della Repubblica, che ne promuove l’apprendimento, la diffusione e la valorizzazione, nel rispetto della tutela delle minoranze linguistiche ai sensi dell’articolo 6 della Costituzione e della legge 15 dicembre 1999, n. 482.

2. La Repubblica garantisce l’uso della lingua italiana in tutti i rapporti tra la pubblica amministrazione e il cittadino nonché in ogni sede giurisdizionale, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 111, terzo comma, della Costituzione.

Art. 2.
(Utilizzo della lingua italiana nella fruizione di beni e di servizi)

1. La lingua italiana è obbligatoria per la promozione e la fruizione di beni e di servizi pubblici nel territorio nazionale.

2. Gli enti pubblici e privati sono tenuti a presentare in lingua italiana qualsiasi descrizione, informazione, avvertenza e documentazione relativa ai beni materiali e immateriali prodotti e distribuiti sul territorio nazionale.

3. L’indicazione delle attività commer- ciali, dei prodotti tipici, delle specialità e delle aree geografiche di denominazione italiana, riportata in lingua straniera su merci destinate al mercato internazionale, deve essere accompagnata dalla corrispondente denominazione italiana. La Repubblica promuove con ogni mezzo la tutela delle denominazioni italiane negli Stati esteri.

Art. 3.
(Utilizzo della lingua italiana nell’informazione e nella comunicazione)

1. Ogni tipo e forma di comunicazione o di informazione presente in un luogo pubblico o in un luogo aperto al pubblico ovvero derivante da fondi pubblici e destinata alla pubblica utilità è trasmessa in lingua italiana.

2. Per ogni manifestazione, conferenza o riunione pubblica organizzata nel territorio italiano è obbligatorio l’utilizzo di strumenti di traduzione e di interpretariato, anche in forma scritta, che garantiscano la perfetta comprensione in lingua italiana dei contenuti dell’evento.

Art. 4.
(Utilizzo della lingua italiana negli enti pubblici e privati)

1. Chiunque ricopre cariche all’interno delle istituzioni italiane, della pubblica amministrazione, di società a maggioranza pubblica e di fondazioni il cui patrimonio è costituito da pubbliche donazioni è tenuto, ferme restando le norme sulla parificazione delle lingue adottate dagli statuti speciali delle regioni autonome e delle province autonome di Trento e di Bolzano, alla conoscenza e alla padronanza scritta e orale della lingua italiana.

2. Le sigle e le denominazioni delle funzioni ricoperte nelle aziende che operano nel territorio nazionale devono essere in lingua italiana. È ammesso l’uso di sigle e di denominazioni in lingua straniera in assenza di un corrispettivo in lingua italiana.

3. I regolamenti interni delle imprese che operano nel territorio nazionale devono essere redatti in lingua italiana. Ogni documento comportante obblighi per il dipendente o disposizioni la cui conoscenza è necessaria al dipendente per l’esecuzione del proprio lavoro deve essere redatto in lingua italiana. I citati documenti possono essere accompagnati dalla traduzione in una o più lingue straniere.

Art. 5.
(Utilizzo della lingua italiana nei contratti di lavoro)

1. All’articolo 1346 del codice civile è aggiunto, infine, il seguente comma: « Il contratto deve essere stipulato nella lingua italiana. Il contratto è tradotto in lingua straniera qualora una delle parti contraenti sia residente o cittadino in un Paese diverso da quello italiano ».

2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano ai documenti ricevuti dall’estero o destinati all’estero.

Art. 6.
(Utilizzo della lingua italiana nelle scuole e nelle università)

1. Negli istituti scolastici di ogni ordine e grado nonché nelle università pubbliche italiane le offerte formative non specificamente rivolte all’apprendimento delle lingue straniere devono essere in lingua italiana. Eventuali corsi in lingua straniera sono ammessi solo se già previsti in lingua italiana, fatte salve eccezioni giustificate dalla presenza di studenti stranieri, nell’ambito di progetti formativi specifici, di insegnanti o di ospiti stranieri.

2. Le scuole straniere o specificamente destinate ad accogliere alunni di nazionalità straniera nonché gli istituti che dispensano un insegnamento a carattere internazionale non sono sottoposti agli obblighi di cui al comma 1.

Art. 7.
(Comitato per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana)

1. Presso il Ministero della cultura è istituito il Comitato per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana nel territorio nazionale e all’estero.

2. Il Comitato di cui al comma 1 è composto dal Ministro della cultura, o da un suo delegato, che lo presiede, da un rappresentante dell’Accademia della Crusca, da un rappresentante della società Dante Alighieri, da un rappresentante dell’istituto Treccani, da un rappresentante del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, da un rappresentante del Ministero dell’istruzione e del merito, da un rappresentante del Ministero dell’università e della ricerca, da un rappresentante del Dipartimento per l’editoria e l’informazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, da un rappresentante della RAI – Radiotelevisione italiana Spa e da tre membri del Parlamento, indicati d’intesa dai Presidenti delle due Camere. Ai componenti del Comitato non spettano gettoni di presenza, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati.

3. I componenti del Comitato sono nominati con decreto del Ministro della cultura.

4. Il Presidente convoca la prima riunione del Comitato entro dieci giorni dalla nomina dei suoi componenti.

5. Il Comitato di cui al comma 1 promuove:
a) la conoscenza delle strutture grammaticali e lessicali della lingua italiana;
b) l’uso corretto della lingua italiana e della sua pronunzia nelle scuole, nei mezzi di comunicazione, nel commercio e nella pubblicità;
c) l’insegnamento della lingua italiana nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle università;
d) l’arricchimento della lingua italiana allo scopo primario di mettere a disposizione dei cittadini termini idonei a esprimere tutte le nozioni del mondo contemporaneo, favorendo la presenza della lingua italiana nelle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione;
e) nell’ambito delle amministrazioni pubbliche, forme di espressione linguistica semplici, efficaci e immediatamente comprensibili, al fine di agevolare e di rendere chiara la comunicazione con i cittadini anche attraverso strumenti informatici;
f) l’insegnamento della lingua italiana all’estero, d’intesa con la Commissione nazionale per la promozione della cultura italiana all’estero, di cui all’articolo 4 della legge 22 dicembre 1990, n. 401.

Art. 8.
(Sanzioni)

1. La violazione degli obblighi di cui alla presente legge comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma da 5.000 euro a 100.000 euro.

 

Avremo modo di tornare su questa proposta di legge nei prossimi giorni e mano mano che avanzerà lungo l’iter parlamentare. Ci limitiamo per ora a qualche considerazione generale.

Sicuramente la proposta è organica e tocca i punti principali di una politica linguistica a sostegno della nostra lingua: la sua presenza garantita nell’alta formazione e nell’istruzione, il diritto dei cittadini e dei lavoratori alla comprensione e alla trasparenza grazie a comunicazioni e contratti in italiano, l’idea di produrre sistematicamente neologismi, adattamenti, traduzioni, in modo che il lessico dell’italiano resti al passo coi tempi. Accanto a questo però, presenta punti più complicati da governare, come l’obbligo di traduzione negli eventi, le denominazioni dei prodotti, e le eccezioni ai vari commi, che vanno stabilite con certezza caso per caso. Nella proposta di legge appoggiata da noi e oltre 2200 cittadini, si insisteva meno sui divieti e sulle sanzioni e di più sulla sensibilizzazione.

Perché per prima cosa si deve spiegare bene ai cittadini perché l’italiano è importante. Perché permetterà a loro e ai loro figli di formarsi meglio, non precludendo poi di imparare bene (proprio perché si padroneggia la lingua madre) anche l’inglese o altre lingue. Ai giornalisti e ai politici va fatto comprendere che hanno dovere di chiarezza e trasparenza verso chi li ascolta, e responsabilità nel formare la lingua di domani. La lingua la fanno parlanti, ma essi sono tra i parlanti un po’ più influenti di altri.

Soprattutto ci preoccupa, come abbiamo detto in apertura, l’approccio di parte che l’on. Rampelli e i colleghi hanno adottato verso un tema, quello della lingua, che non dovrebbe dividere ma unire. La politica linguistica, inoltre, è un argomento che in Italia si scontra con stereotipi e luoghi comuni legati all’eredità fascista. Un partito di destra che, sostanzialmente da solo, presenta una simile proposta (che tra l’altro unisce parti di altre proposte già presentate in passato dagli stessi soggetti), provoca mediamente reazioni di chiusura. I titoli dei giornali colgono infatti soprattutto i divieti, le sanzioni, l’avversione per il forestierismo. Le opposizioni reagiscono in modo critico o ironico, non sempre a torto, dato che il Movimento 5 Stelle si domanda se Rampelli voglia denunciare il ministro del “Made in Italy”, nome inglese (per quanto in uso da tempo) per un ministero italiano, voluto dal suo stesso partito.

Ci auguriamo che il testo approdi in aula e che la discussione sia aperta e costruttiva, che le opposizioni riflettano su una questione che non può essere liquidate con frasi fatte e riferimenti al Ventennio, e che la maggioranza colga spunti e proposte di modifica sensate e motivate. All’italiano non servono bandierine o litigi tra partiti, ma serve cura e attenzione. Noi di Italofonia, per quanto in nostro potere, saremo sempre lì a ricordarlo con i nostri articoli e le nostre campagne di sensibilizzazione. Perché l’italiano è un bene comune che appartiene a tutti noi.


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