La Crusca: la proposta Rampelli rischia di vanificare il lavoro di chi si batte da anni per difendere l’italiano

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La proposta di legge che reca “Disposizioni per la tutela e la promozione della lingua italiana” e ha iniziato venerdì 31 marzo il suo percorso parlamentare, continua a far parlare di sé, tra battute ironiche (nella puntata di ieri di “In Onda” su La7 si è detto “Ministero del Fatto in Italia” per “non incorrere in sanzioni”) e commenti più seri. In questo articolo abbiamo descritto la proposta e dato il nostro parere “a caldo”. Come i nostri lettori sanno, siamo da sempre favorevoli a una politica linguistica per l’italiano, tanto da averne proposta una, ma su questo disegno di legge abbiamo espresso diverse perplessità.

Anche l’Accademia della Crusca ha commentato la notizia, per bocca del suo presidente Claudio Marazzini, intervistato dall’agenzia Adnkrnos. Il giudizio è chiaramente negativo: “La proposta di sanzionare l’uso delle parole straniere per legge, con tanto di multa, come se si fosse passati col semaforo rosso, rischia di vanificare e marginalizzare il lavoro che noi, come Crusca, conduciamo da anni allo scopo di difendere l’italiano dagli eccessi della più grossolana esterofilia, purtroppo molto frequente”, dice il professore. E ancora: “L’eccesso sanzionatorio esibito nella proposta di legge rischia di gettare nel ridicolo tutto il fronte degli amanti dell’italiano. Un intervento poteva essere eventualmente concordato con chi da anni, come noi, si occupa del problema. Ora, ahimè, in questa polemica, troveranno spazio anche maggiore tutti quelli che, con la scusa del fascismo e del nazionalismo, ostacolano ogni tentativo di realizzare un’equilibrata convivenza tra le esigenze di internazionalizzazione e la pur legittima attenzione alla lingua nazionale, sovente calpestata ed estromessa senza motivo. Ora urleranno: ecco, avevamo ragione noi!”.

Ci troviamo totalmente in accordo con queste parole del professor Marazzini. Noi di Italofonia facciamo parte di quel fronte di amanti dell’italiano, di chi da anni lavora per sensibilizzare contro l’abuso di anglicismi e l’estromissione totale dell’italiano dai campi della ricerca, della scienza, dell’innovazione e dell’alta formazione. La “fuga in avanti” dell’on. Rampelli, che ha cucito insieme pezzi di proposte già presentate – e mai approvate – negli anni passati, rischia di banalizzare il tema e rinfocolare vecchi luoghi comuni come quello legato al fascismo.

Siamo invece in disaccordo con Marazzini quando afferma che una politica linguistica non sia necessaria perché già ci sono leggi esistenti che andrebbero solo applicate: “Basterebbe un po’ di autocontrollo da parte degli enti pubblici e dei ministeri (che, mi pare, per ora nulla hanno fatto) per evitare le stupidaggini come il ‘booster’ delle vaccinazioni Covid al posto di ‘richiamo’, o l’incredibile selva di anglismi del ‘Piano scuola 4.0’. Non la fantasia di leggi nuove, insomma, ma un preciso indirizzo dato dai ministeri competenti, con semplici circolari”. Se è vero che in campo universitario esiste la sentenza 42/2017 della Corte Costituzionale, chiarissima e disattesa, è altrettanto vero che il Consiglio di Stato nel 2019 ha sentenziato che il Politecnico di Milano, tenendo 27 corsi di laurea magistrale e dottorato (su 40) solo in inglese, non violava la sentenza 41 del 2017.

E se si ritiene inutile una commissione (o comitato o consiglio o quel che sia) che abbia, tra l’altro, il compito di proporre traduzione e adattamenti e coniare neologismi, non si può neppure dire, come la linguista Valeria Della Valle, che basti il gruppo Incipit dell’Accademia della Crusca. Non è affatto vero, come afferma Della Valle, che “ogni volta che qualche termine straniero compare nel linguaggio delle Istituzioni [Incipit] ne suggerisce la sostituzione. Il gruppo Incipit, creato nel 2015, in otto anni di vita ha prodotto 22 (ventidue!) comunicati. Tutti incentrati su singoli episodi. Si contesta per esempio l’uso di “login” in una particolare applicazione mobile, quando il termine è da anni in uso in ogni ambito, e in continua espansione.  Un approccio fallimentare che infatti, a differenza della posizione chiara e forte della Crusca a favore dei ruoli professionali al femminile, non ha prodotto effetti di rilievo.

In Francia, un Paese senza dubbio democratico (a sostegno del fatto che politica linguistica non equivale a fascismo) esiste una commissione che fa esattamente questo: conia neologismi o propone alternative, in modo costante e rapido, per tenere il lessico del francese sempre aggiornato e fornire ai francofoni delle alternative. Che poi saranno liberi di utilizzare o meno. Per l’italiano l’unico esempio simile a quello francese è un progetto privato, manutenuto da Antonio Zoppetti, che orgogliosamente ospitiamo su Italofonia: il dizionario AAA delle Alternative Agli Anglicismi.

Esistono infine tematiche, come quelle dei contratti di lavoro, non coperte dalle leggi vigenti e che dunque consentono alle aziende di far firmare ai dipendenti contratti o regolamenti importanti (sulla sicurezza o la disciplina interna) scritti esclusivamente in inglese legale e burocratico. Inaccettabile, a nostro avviso. Indipendentemente che quei lavoratori debbano conoscere l’inglese per svolgere le proprie mansioni. Ed esistono comuni italiani che espongono cartelli di sicurezza in luoghi pubblici solo in inglese! Questo riteniamo debba essere vietato e punito con sanzioni adeguate. Non certo l’uso di un termine straniero invece di uno italiano, in generale.

Dunque, se da un lato concordiamo che Fabio Rampelli abbia agito in modo inopportuno ed ecceduto con il lato punitivo nella sua proposta di legge, dall’altro ricordiamo agli insigni linguisti della Crusca che no, non va tutto bene. Una legge serve. Ma deve essere equilibrata, condivisa anche al di fuori delle forze di maggioranza e, soprattutto, appoggiata dai cittadini. Perché ai cittadini va spiegato che conviene loro prendersi cura della propria lingua, in un mondo dove, nonostante il ruolo dell’inglese, il 95% della popolazione mondiale non è madrelingua inglese e chi lo parla lo fa in maggioranza a livello base, con competenze scarse. Le lingue continueranno ad esistere, l’inglese non le sostituirà, i cinesi, gli spagnoli, i sudamericani, i messicani, i canadesi, i francesi, i tedeschi, i coreani, i giapponesi e tutti gli altri, non rinunceranno alla propria lingua. Perché noi dovremmo farlo, distruggendola o limitandone l’uso? L’inerzia e il dogma dell’inglese a tutti i costi hanno prodotto una politica di fatto che discrimina l’italiano in Italia.

L’esempio della legge Toubon, che traccia la politica linguistica francese, è un buon esempio. Non si tratta di una legge anti-inglese, come troppo frettolosamente la dipinge in Italia, ma una legge pensata anzitutto per garantire la diversità culturale e il plurilinguismo. A tal proposito, vi invitiamo a prendervi quattro minuti del vostro tempo per guardare questo video con i sottotitoli in italiano:

Grazie a dio siamo in democrazia. Altrimenti, così come il fascismo impose l’italianizzazione, ci sarebbe stata imposta l’anglificazione senza possibilità di protestare. Invece possiamo e vogliamo protestare, argomentando e cercando di convincere quante più persone possibile che l’italiano è un bene comune da tutelare e coltivare, arricchire, far evolvere. Lo facciamo col nostro collettivo Attivisti dell’italiano e con i nostri articoli e continueremo a farlo. L’onorevole Rampelli dovrebbe forse fare un passo indietro e aprirsi al dialogo. Per produrre una legge accettata e compresa da tutti, a sostegno di un bene culturale e sociale – l’italiano – che è di noi tutti.

 

Fonte: Adnkronos – Copertina: wikimedia

 


 

 


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2 pensieri su “La Crusca: la proposta Rampelli rischia di vanificare il lavoro di chi si batte da anni per difendere l’italiano

  1. Il problema non è tanto l’adozione di nuovi termini inglesi che non hanno il corrispondente italiano, come per esempio “computer”. Non pretendo che si inventi un neologismo italiano per sostituire il termine inglese, come si faceva in Italia durante il Fascismo, o come fanno tuttora i francesi, gli spagnoli, i portoghesi ecc. A me basterebbe che tanti poveri beceri provincialotti ignoranti italici (vedi i giornalisti, per esempio) non sostituissero termini italiani con equivalenti inglesi. Perché dire match, fake news, news, location, management, ranking, building, benchmark, question time (adottato dal Parlamento Italiano!!!!), ecc ecc?

    1. Però ci sarebbe effettivamente da chiedersi come mai noi diciamo microfono, microonde, lampadina e non dovremmo avere una parola italiana per dire computer, mouse, password o contactless, come ci sono in spagnolo, catalano, portoghese o francese. Le parole andrebbero create, alcune attecchiranno e altre no (in francese si dice ordinateur e mot de passe ma si dice hashtag e startup, per esempio, nessuno usa il corrispettivo francese, che non ha preso piede).

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