Quando il doppiaggio italiano usa troppo (e male) l’inglese

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Nel periodo natalizio non c’è niente di meglio che sorseggiare una cioccolata calda guardando una serie TV. È quello che ho fatto con Blockbuster, serie comica prodotta da Netflix che tratta delle vicissitudini degli impiegati dell’ultimo negozio di Blockbuster rimasto aperto. La serie è ambientata in Oregon, negli Stati Uniti, dove resiste tuttora l’ultimo Blockbuster aperto in tutto il mondo. Timmy Yoon, il titolare del negozio, vede crollare attorno a sé tutti gli altri negozi finché il suo non rimane l’unico e così tenta in tutti i modi di sopravvivere nell’era del 5G e delle piattaforme digitali dell’audiovisivo. Guardando Blockbuster, oltre alla curiosità per questa catena che ha senza dubbio segnato un’epoca, ho trovato di grande interesse la presenza di numerosi anglicismi nel doppiaggio italiano.

Nell’arco dei 10 episodi della serie, ognuno di una durata di circa 25 minuti, sono presenti 41 anglicismi nel doppiaggio italiano, di cui 14 pseudo-anglicismi o ibridazioni. Se si confrontano questi stessi termini con le relative traduzioni nelle altre lingue romanze (francese, portoghese brasiliano e spagnolo latino-americano), osserviamo che tutte e tre le lingue si aggirano intorno ai 10 anglicismi.

Innanzitutto, per quanto riguarda l’area dell’informatica e delle reti sociali, sono presenti i classici “streaming” (tradotto solo in spagnolo con plataformas), “microchip” (tradotto solo in francese con puce électronique), “follower” (seguidor in spagnolo e portoghese), post (tradotto solo in spagnolo con publicación), “e-book” (tradotto solo in francese con livre numérique, ossia libro numerico, digitale) e “social media” (che il doppiaggio italiano è l’unico a non tradurre). Da notare anche l’ibridazione “unfollowato”, calco dell’inglese unfollowed, che nelle altre lingue è sostituito con un semplice “ho smesso di seguirti”.

In aggiunta, si osserva una netta propensione del doppiaggio italiano, diversamente dagli altri, all’utilizzo di party invece di festa come in “pizza party”, “pigiama party” (sleepover in inglese) e “block party”. Quest’ultimo si riferisce alla festa di quartiere (fête de quartier nel doppiaggio francese) e viene probabilmente mantenuta la forma originale per preservare il gioco di parole con il nome del negozio. Gioco di parole che viene mantenuto nelle versioni sudamericane che hanno tradotto il termine con block festa e block fiesta. Rimanendo in tema festivo, quello che fa di gran lunga più sorridere è la traduzione in italiano, o meglio in itanglese, dell’inglese party industry professional. Mentre nelle altre lingue questa figura viene chiamata professionnel de l’événementiel, profissional da indústria de festas e profesional de la industria de fiestas, nel doppiaggio italiano troviamo “party planner professionista”.

Il simpatico Percy Scott, miglior amico di Timmy e proprietario del centro commerciale dove si trova il negozio di Blockbuster, nonché party planner professionista.

Nel caso di party planner non possiamo parlare di pseudo-anglicismo in quanto il termine esiste nella lingua inglese, ma è alquanto bizzarro che sia stato utilizzato nella versione italiana e non in quella inglese. Non si tratta di un caso isolato infatti, nel secondo episodio, il termine Blockbuster dad viene tradotto in italiano con “boss” e in seguito “capo supremo”. Scelte di traduzione tipo quest’ultima sono all’ordine del giorno e non c’è da meravigliarsi. Quello che può far sorgere un interrogativo ai più attenti è il titolo dell’episodio in questione, “Il papà di Blockbuster”, riferito a Timmy. Nella versione originale e nelle altre versioni doppiate, difatti, Timmy si autoproclama e viene periodicamente chiamato in modo scherzoso papà di Blockbuster. Nella versione italiana si percepisce appunto una leggera stonatura tra il titolo dell’episodio e l’uso assente di tale titolo che, come detto, viene sostituito con l’anglicismo “boss” o “capo supremo”.

Allo stesso modo, l’espressione ins and outs of Ford Fiesta (letteralmente, gli annessi e connessi o i dettagli della Ford Fiesta) è tradotta in italiano con gli “optional della Ford Fiesta” mentre nelle altre lingue si opta per espressioni prive di anglicismi (louer des Ford Fiesta in francese, idas e voltas da Ford Fiesta in portoghese e analizar las Ford Fiesta in spagnolo).

Nel caso dell’espressione inglese a very hot jam, il doppiaggio italiano, che la traduce con “una bella hit dannata”, non è l’unico a utilizzare un anglicismo non presente in inglese. Infatti, a fronte del portoghese musiquinha e dello spagnolo cantada, il doppiaggio francese usa l’espressione un tune des années 80 per rincuorare un Timmy sconsolato a causa della sua relazione sentimentale.

Non mancano gli pseudo-anglicismi come il già citato “pigiama party” oppure lo “spot in TV” invece di pubblicità (commercial in inglese, tradotto con i rispettivi equivalenti nelle altre lingue romanze). Da notare, inoltre, che tutte le lingue neolatine traducono il termine inglese hot (riferito a una persona) con l’anglicismo “sexy”.

Poiché la serie è ambientata nel negozio di Blockbuster, non possono mancare i numerosi riferimenti cinematografici. Devo ammettere che, sebbene sia piuttosto esperto in materia, qualche volta mi sono fatto trovare impreparato. È il caso del film Svalvolati on the road, commedia del 2007 in cui recita anche John Travolta. In questo caso, i responsabili della traduzione italiana di Blockbuster si sono limitati, come giusto che fosse, a usare il titolo italiano di Wild Hogs (letteralmente, maiali selvatici o cinghiali). Ancora una volta, fa sorridere come sia stato liberamente utilizzato un termine inglese in italiano mentre nelle altre lingue neolatine sono state percorse altre strade più o meno attinenti al titolo originale ma senza anglicismi (Bande de sauvages in francese, Motoqueiros selvagens in portoghese brasiliano e Rebeldes con causa in spagnolo latino-americano).

Un altro riferimento degno di nota è quello alla famosa scena di Lilli e il vagabondo in cui i due cani condividono un piatto di spaghetti. La scena è talmente iconica che “fare come Lilli e il vagabondo” è sinonimo di condividere qualcosa nella versione inglese, francese e portoghese. Il pubblico ispanofono non potrà apprezzare il riferimento cinematografico in quanto l’espressione originale we could Tramp and Tramp it è tradotta con beber al mismo tiempo (bere contemporaneamente). Allo stesso modo, il pubblico italiano non avrà il riferimento cinematografico e dovrà accontentarsi dell’anglicismo “[facciamo] fifty-fifty”.

Lilli e il vagabondo mentre fanno fifty-fifty.

Naturalmente se questa tendenza si limitasse a una singola serie, lo si potrebbe facilmente ricondurre ai dialoghisti e al direttore del doppiaggio che ne hanno curato l’adattamento italiano. Ma invece ho riscontrato la stessa cosa in numerose altre serie e film, presenti su diverse piattaforme. Citerò ad esempio la serie The Playlist, sempre di Netflix, che ripercorre la storia di Spotify. Nella versione italiana, nell’episodio incentrato sulla figura del programmatore, si usa allo sfinimento la parola “code-writer”. Sfido qualunque italiano, anche chi lavora in ambito informatico, a dire che codewriter è una parola in uso. Nel linguaggio comune, accanto all’anglicismo developer, è più usato – soprattutto nel parlato – sviluppatore, o programmatore. Non solo un anglicismo, dunque, ma una forzatura che propina una nuova parola inglese che in italiano non è neppure in uso. Inutile dire che nella versione francese c’è invece “programmeur” e in quella spagnola “codificador”. Nella serie fanno capolino moltissimi altri esempi di questo tipo. L’italiano non conia più nuovi termini per tenersi al passo con ciò che di nuovo appare nel mondo, è una lingua sempre più sterile da questo punto di vista. Ma davvero non c’è alcun bisogno, anche dove le parole esistono, di soppiantarle con inglesismi oscuri. Non giova alla lingua e nemmeno agli spettatori, che spesso faticano a capire e rischiano di perdere riferimenti che invece renderebbero la visione più godibile.

In conclusione, appare chiaro come l’itanglese stia ormai prendendo sempre più piede anche nei doppiaggi cinematografici e la situazione è ancora più allarmante se confrontata con ciò che accade nelle altre lingue romanze. Il cinema, insieme alla televisione e ai mezzi di comunicazione, è un potente mezzo di veicolazione linguistica e, in quanto tale, la scelta degli anglicismi da includere nel doppiaggio italiano meriterebbe senz’altro una maggior attenzione. Anche perché, da un sondaggio della stessa Netflix, l’Italia è il mercato dove il pubblico più di tutti preferisce le opere doppiate in italiano rispetto al sottotitolaggio. Per quanto riguarda la serie Blockbuster, il consiglio è di attivare, anche insieme all’audio italiano, i sottotitoli in italiano se volete cogliere appieno le sfumature dei dialoghi originali come il riferimento a Lilli e il vagabondo, ma non solo, dato che i sottotitoli italiani presentano molti meno anglicismi rispetto all’audio doppiato.

Da studente all’estero ho modo di confrontare direttamente come le altre lingue romanze che conosco e che vivo, il francese e lo spagnolo nello specifico, reggano meglio l’urto delle ondate di termini inglesi che arrivano da oltreoceano. Che naturalmente sono presenti, come è inevitabile in una società aperta e globalizzata, ma senza travolgere (e stravolgere) la capacità di queste lingue di restare vitali e di continuare a interpretare e rielaborare il mondo con metafore parole proprie.

Questo breve articolo ha voluto offrire un mio punto di vista, da spettatore, su un problema che ritengo molto serio. Faccio a tutti voi i miei migliori auguri di buone feste. E alla lingua italiana auguro un anno nuovo in cui sia presa un po’ più a cuore da chi la parla e la usa ogni giorno.


Alessandro Fossataro

Copertina: foto da pexels di cottonbro studio

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Un pensiero su “Quando il doppiaggio italiano usa troppo (e male) l’inglese

  1. Articolo molto interessante, come capita spesso di trovarne sul Vostro bollettino. Mi sarebbe piaciuto, per curiosità mia, conoscere anche il corrispondente italiano dei vari anglicismi citati nell’articolo. Complimenti per la Vostra meritoria attività in difesa della lingua italiana. Daniele

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