Nel nuovo vocabolario Treccani il femminile di molti nomi e aggettivi viene prima del maschile

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In italiano il genere grammaticale maschile viene usato in modo “sovraesteso”, per coprire talvolta le funzioni che nel latino era del neutro o per indicare gruppi misti maschili e femminili. Per questo motivo i nomi e gli aggettivi, nei dizionari, sono sempre indicati per convenzione al maschile, con la precisazione poi della desinenza femminile.

Per esempio, nel caso dell’aggettivo “bello”, lo si troverà in questa forma, seguito dall’indicazione che la forma femminile finisce in -a (quindi “bella”), come nell’immagine qui sotto:

Il nuovo vocabolario Treccani rompe invece questa convenzione, in nome della “parità di genere”. La nuova edizione del vocabolario riporterà per primi i nomi e gli aggettivi al femminile, con la motivazione che in ordine alfabetico la lettera A viene prima della O, dunque bella viene prima di bello.

Non troveremo “bella (AGG. e N.F (m. -o)”, ma a quanto pare entrambe le forme estese, in questo modo:

 

In realtà non è sempre preferito il femminile, ma a prevalere sarà la forma che viene prima secondo l’ordine alfabetico. Quindi, per esempio, dovremo cercare attore e non attrice, ma medica e non medico.

Dietro la neutralità dell’ordine alfabetico, temiamo però che passi il concetto antiscientifico di un maschilismo intrinseco alla lingua italiana, che invece non ha fondamento scientifico né storico. Ma oggi la facciata conta più della sostanza, e poco importa di creare problemi o difficoltà cambiando regole e consuetudini costruite nel tempo. Si pensi a chi vorrebbe introdurre a tavolino con la scevà un suono e un simbolo insistenti nella lingua italiana, in nome di un’inclusività di facciata che escluderebbe bei fatti molti dislessici, persone con difficoltà linguistiche e altre categorie evidentemente sacrificabili.

Nel vocabolario Treccani vengono inoltre introdotte le forme al femminile di lavori e professioni e abolite le spiegazioni dei lemmi che fanno riferimento a stereotipi del genere “la mamma cucina, il papà lavora”. Niente di sbagliato in sé. Troviamo positivo che le forme femminili dei nomi, da sempre esistenti o possibili, prendano piede. Se ormai “sindaca” è divenuto normale, significa che sempre più donne ricoprono quel ruolo, e questo non può essere che un bene. Sul tema degli stereotipi, è più difficile capire dove autocensurarsi, e troviamo più importante che si aiuti la parità nei fatti che non scegliendo una frase su un vocabolario o un’immagine su un libro, ma il concetto è quello di riflettere i cambiamenti della società. Del resto, nelle lezioni di lingua italiana di Radio Mogadiscio, si sente la frase “La mamma ha sei figli”, che forse non sarebbe la prima a venire in mente all’autore italiano di un testo didattico.

Diretto dai linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, Il vocabolario Treccani è molto più che la versione aggiornata dell’opera pubblicata nel 2018: è lo specchio del mondo che cambia e il frutto della necessità di validare e dare dignità a una nuova visione della società, che passa inevitabilmente attraverso un nuovo e diverso utilizzo delle parole, promuovendo inclusività e parità di genere”, si spiega sul sito illustrando questa nuova edizione.

Registriamo come alcuni cambiamenti che riteniamo positivi, come per esempio lo sdoganamento delle professioni al femminile, siano stati frutto di una presa di posizione dell’Accademia della Crusca, di istituzioni e mondo politico, e poi di singoli cittadini e del mondo del giornalismo, che ha attivamente diffuso le nuove forme. Auspichiamo che anche su altri temi, come quello dell’abuso di anglicismi e delle restrizioni all’uso dell’italiano nell’ambito scientifico accademico ci siano azioni altrettanto forti ed efficaci.


In copertina: Foto di Orna Wachman da Pixabay


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