L’Independent britannico dedica un articolo all’eccesso di anglicismi in italiano

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Qualche giorno fa è uscito sul quotidiano britannico The Independent un articolo che parla del tema dell’abuso di anglicismi in italiano, scritto dalla corrispondente Sofia Barbarani grazie alla testimonianza di Peter Doubt, italo-britannico co-fondatore dell’iniziativa “Campagna per Salvare l’Italiano“. Curiosamente di questo fenomeno enorme si occupano più i mezzi di informazione stranieri (in passato France Culture, il quotidiano spagnolo, la TV Svizzera, Corsica Oggi) che non quelli italiani.

 

L’articolo dell’Independent si intitola ‘Itanglish’: The backlash against the increasing use of English in Italy, che potremmo rendere con  ‘Itanglese’, la reazione contro l’uso crescente dell’inglese in Italia.

 

 

Vi proponiamo un riassunto del contenuto dell’articolo realizzato dallo stesso Doubt.
Quando Peter Doubt ricevette una chiamata dalla sua anziana zia italiana che gli chiedeva un aiuto con una traduzione, il linguista anglo-italiano rimase attonito nello scoprire che la lettera spedita da un ospedale pubblico italiano era colma di parole in inglese come “screening” e “breast unit”.
Come milioni di italiani che non parlano inglese, la zia ottantunenne di Doubt si era meravigliata di cosa volesse comunicarle il suo ospedale locale.
“Immagina: una persona anziana, con una malattia grave, in una situazione vulnerabile, che deve persino preoccuparsi di capire esattamente cosa le stanno dicendo”, dice Doubt.
È solo uno tra gli esempi sempre più frequenti che illustrano la maniera in cui la lingua più parlata del mondo stia sempre di più usurpando e spesso sostituendo l’italiano.
Nel 2021 il Dizionario Zingarelli della lingua italiana riportava 2927 in inglese su 145000 totali – e il numero reale è probabilmente molto più alto. Così alto che infatti il compianto linguista Tullio de Mauro nel 2016 lo chiamò tsunami anglicus – uno tsunami inglese.
Ogni italiano è praticamente certo di trovarsi quasi quotidianamente davanti a una moltitudine di anglicismi. Da ospedali a ministeri, da discorsi di politici ai media, dalle banche alle palestre.
Espressioni come “lost and found” e “customer care” negli aeroporti, “outfit” nella moda, “food and beverage” nella ristorazione, e persino “jobs act” e “question time” nella politica, sono alcuni degli esempi dell’utilizzo quotidiano dell’inglese in Italia.
Tanto gli abitanti come i visitatori farebbero fatica a pensare a un ambito della società italiana che negli ultimi vent’anni non abbia rimpiazzato una parola italiana con un equivalente in inglese, nonostante l’Italia sia uno dei Paesi europei con il livello più basso d’inglese tra la sua popolazione.
A sua volta, questo crea molta confusione tra i tanti italiani che non parlano inglese e indignazione tra alcuni linguisti.
“Ci sono milioni di italiani che non parlano l’inglese, però pagano le tasse, vivono in Italia e devono preoccuparsi se stanno comprendendo dove si trovano,” dichiara Doubt a The Independent.
Tale è la sua frustrazione, che nell’ottobre 2021 Doubt ha co-fondato “Campagna per Salvare l’italiano”, un movimento la cui intenzione è di creare coscienza e di fornire uno spazio affinché la gente possa dibattere la questione.
Linguisti, scrittori, giornalisti ed altri si sono uniti al progetto di Doubt per fornire la propria conoscenza, documentare esempi di anglicismi usati senza alcuna necessità, ed effettuare analisi comparative per illustrare meglio il problema.
Peter Doubt afferma che non esiste una singola spiegazione per questa intrusione spesso aggressiva della lingua inglese in Italia. Ci sono però varie teorie.
Una delle tesi si riferisce all’infatuazione italiana per qualsiasi cosa di sapore statunitense – una traccia della presenza lasciata nel dopoguerra delle truppe americane sulla penisola e del Piano Marshall, un programma di aiuto finanziario per aiutare l’Italia a recuperare dopo la guerra.
Un’altra possibilità, secondo l’artista Giorgio Comaschi, è semplicemente il desiderio degli italiani di “apparire fighi”.
“Noi [italiani] vogliamo essere “in”, non vogliamo essere “out” – per cui io uso questo termine [inglese] per sentirmi rassicurato,” Comaschi ha detto in una intervista con Campagna per Salvare l’Italiano. “è un’immensa dichiarazione di inferiorità e d’insicurezza.”
Una terza teoria, secondo Peter Doubt, è la reazione impulsiva verso la proibizione di parole straniere da parte del regime fascista di Benito Mussolini.
Alcune leggi che furono imposte negli anni ‘30 portarono alla ridenominazione di paesi e città che non avevano nomi italiane, in particolare nelle zone vicine ai confini con Svizzera e Austria. Cognomi non italiani furono italianizzati, scuole bilingue vennero chiuse e norme furono inviate a stampa e case editrici per assicurare che parole straniere non venissero usate.
Un articolo pubblicato nel 1938 dal giornale Il Popolo d’Italia (fondato da Mussolini) incitava gli italiani a smetterla di usare “usi e costumi stranieri” e a tornare alle tradizioni italiane.
“Dobbiamo rinunciare e rifiutare le varie mode che vengono da Parigi, Londra e Stati Uniti. Che siano loro a ispirarsi a noi, così come guardavano verso Roma o l’italia del Rinascimento.”
Dopo la fine della Guerra e la caduta di Mussolini “il pendolo è oscillato nell’altra direzione,” spiega Doubt. A sua volta questo risulta spesso in accuse di fascismo rivolte a coloro che difendono la sopravvivenza della lingua italiana.
Alcuni linguisti ignorano completamente l’uso crescente dell’inglese dicendo che le lingue sono in continua evoluzione e che, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, anche il francese si fece spazio nella società italiana.
Eppure, non esistevano né internet né la globalizzazione, per cui il francese non lasció tracce nella stessa maniera in cui l’inglese sta facendo oggi attraverso i mezzi di comunicazione.
In un articolo, l’organizzazione italiana My English School indica che “le lamentele dei linguisti e dei puristi italiani non servono a nulla: gli anglicismi fanno ormai parte del nostro quotidiano e bisogna conoscerli e saperli usare per bene”.
Eppure non si tratta solo di anglicismi, scrive l’autore Gabriele Valle, si sta trasformando in una lingua parallela– l’“itanglish”.
Il problema, afferma Peter Doubt, è che l’uso di anglicismi è andato ben oltre termini come computer, internet, o software – “è ovunque”.
Al punto che, nel 2015, una petizione in rete da parte della pubblicitaria Annamaria Testa invitava i membri del governo, della pubblica amministrazione e dei media a parlare in italiano.
“La lingua italiana è molto amata e studiata nel mondo. Oggi, le parole italiane portano con sé dappertutto lo spirito della nostra terra, la nostra cucina, musica, design, cultura,” scrive Annamaria Testa. La petizione fu lanciata con il motto #dilloinitaliano e ha ricevuto più di 68.000 firme.
In un tentativo di rivendicare l’importanza della lingua italiana, la scorsa settimana la città di Firenze – da cui si ritiene che l’italiano moderno si sia sviluppato – ha inaugurato Mundi, il primo museo nazionale dedicato alla storia e all’evoluzione della lingua italiana.
Racchiusi vi sono documenti del secolo X ritenuti tra gli esemplari scritti più antichi dell’italiano volgare, oltre al “padre” della lingua italiana Dante Alighieri e a Pellegrino Artusi, un amato scrittore gastronomico del secolo XIX.
Sebbene sia un piccolo passo di resistenza verso il cosiddetto tsunami anglicus, come dicono i linguisti, rischia di essere inutile se gli italiani non iniziano a vedere e a considerare la propria lingua come una risorsa culturale.
“Gli italiani sono orgogliosissimi della propria gastronomia, architettura, arte e letteratura,” afferma Peter Doubt. “Eppure la propria lingua no, è qualcosa che si può gettare via in qualsiasi momento.”

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