«Non abolite Turismo in italiano all’università, lo chiedo da albergatrice e da mamma» Intervista sulla vicenda Rimini

SOSTIENICI CON UNA PICCOLA DONAZIONE
Condividi questo articolo:

“Non abolite il corso di Economia del Turismo in italiano a Rimini”, recita l’oggetto dell’appello che moltissimi nostri lettori (oltre 200 nelle prime 48 ore) hanno rivolto dalle nostre pagine all’Università di Bologna. “Lo chiedo da mamma di maturandi in procinto di scegliere la facoltà e da albergatrice. Grazie”, è il commento aggiunto da una delle lettrici.

Ricevendo la nostra redazione copia di ogni messaggio, ho letto questo appello e ne sono rimasto colpito. Non solo perché sento per la prima volta levarsi contro il “tutto in inglese” la voce non dell’Accademia della Crusca, di un politico isolato o di un’istituzione culturale, ma quella di imprenditori che lo ritengono nocivo per la produttività delle proprie aziende. Ma anche perché mi trovo personalmente in una situazione simile. Il figlio di miei parenti, maturando, è alle prese con la scelta dell’università. Buoni voti in inglese ma legittimi dubbi se scegliere un percorso dove tutte le materie saranno spiegate solo in inglese, dove saranno solo in inglese i libri, le domande e le risposte, gli esami, per i tre anni del corso di laurea e/o per i due della magistrale. Questo fattore, me lo ha detto, influenzerà la sua scelta. Uno studente italiano che, in Italia, potrebbe desistere dall’intraprendere un percorso di studi perché non ha la possibilità di farlo nella propria lingua. Siamo arrivati a questi livelli, nel silenzio generale della stampa, della classe intellettuale e della politica.

Eppure a quanto pare il tema esiste, ed è enorme. Ho deciso dunque di chiedere all’autrice del commento di accordarmi un’intervista, ed ha accettato, pur chiedendomi di mantenere anonimo il suo nome e quello della sua struttura alberghiera.

 

Grazie per aver accettato l’intervista.

Grazie a lei per essersi interessato alla vicenda. Non credevo che avesse questa risonanza fuori dal nostro territorio.
Una premessa: non ho nulla contro l’inglese. Sono laureata in lingue. Ho fatto esami di università in lingua. Però ora qui la situazione è diversa.

Cosa c’è di diverso nella situazione di oggi?

Mio figlio e gli altri ragazzini della sua classe non possono più scegliere. Vede, noi siamo a Rimini, qui c’è il cuore del turismo, noi viviamo di turismo, e questa facoltà era molto ambita dai ragazzi di zona.  Ed era già in due lingue, ma separate: un percorso di Economia del Turismo, in italiano, pensato per le esigenze del territorio, e Turismo Internazionale, in inglese. Ora questa scelta è stata tolta. E questo li metterà in difficoltà.

Quali sono per i ragazzi le difficoltà più grandi di un percorso solo in inglese?

Loro hanno sempre fatto due lingue a scuola, ma un conto è studiare le lingue straniere a scuola, un altro conto è fare tutto un percorso universitario in lingua straniera. Soprattutto materie come diritto, economia, matematica, che già sono difficili in italiano… affrontarle anche con la complessità della lingua rischia di complicare molto le cose.

Ne ha parlato con l’università, alle giornate di orientamento?

Sì, io all’open day l’ho fatto presente. Anzi, non l’avevano detto chiaramente, semplicemente vedevo solo il corso con il nome in inglese e allora ho chiesto. Loro hanno minimizzato quelle che potevano essere le difficoltà per i ragazzi, parlando invece genericamente di opportunità.

Secondo lei però resta una scelta sbagliata, quella fatta dell’ateneo. 

Una scelta infelice, sì, quella di sopprimere quello che tanti ragazzi riminesi facevano con orgoglio. Anzi, non solo riminesi, perché c’era tutto un bacino d’utenza di ragazzi che venivano dal sud, dalla Puglia, dall’Abruzzo, dalla Campania… Perché Rimini comunque ha un nome, nel settore del turismo. E il corso creava un connubio tra università e territorio, e dava la possibilità di trovare lavoro subito.

Ma i responsabili del corso le hanno dato delle motivazioni della loro decisione?

Quando, dopo la presentazione, ci ho parlato in separata sede, loro mi hanno spiegato che monitorando la situazione hanno visto che i numeri sul corso in italiano stavano calando e loro volevano ampliare il numero degli aderenti puntando su quello in inglese. Mi hanno detto che avevano tanti ragazzi non solo europei ma anche asiatici che venivano a Rimini per frequentare questo corso.

Sembra che stiano cercando nuovi “clienti” su un altro mercato. La dico male.

No no, ha detto benissimo. Ho avuto proprio questa impressione, che cercassero clienti. Cercano un bacino più ampio ma pare che non si chiedano se davvero il territorio ne trarrà beneficio. Sembrano pensare solo alla loro università, ai loro iscritti, ai loro numeri.

Non dovrebbe essere così.

Certo che no. L’università deve formare i ragazzi e portare sviluppo nella propria regione e nel Paese. Soprattutto se è finanziata dai cittadini.

Però si potrebbe obiettare che non c’è nulla di male ad attrarre più ragazzi stranieri.

Sì, ma come la nostra presidente [Patrizia Rinaldis di Federalberghi Rimini, ndr] ha affermato, questi ragazzi stranieri normalmente non sanno l’italiano, quindi non si integrano, poi una volta finito, prendono la loro laurea e vanno altrove. Quindi difficilmente ci sarà possibilità di trattenerli sul posto.

E adesso suo figlio cos’ha intenzione di fare?

Ancora non ha preso una decisione definitiva. Io comunque ho cominciato a cercare altri corsi simili, in altre regioni italiane. Ma ormai quasi ovunque sono solo in inglese. L’unico che ho trovato in italiano si trova in Umbria, nella sede di Assisi dell’Università di Perugia. Però si tratta di un corso molto più piccolo, con pochi aderenti. E anche mio figlio ha detto che insomma, vive a Rimini, nel cuore del turismo, e gli tocca andare a studiare fuori regione e soprattutto con altre modalità, in un contesto diverso. Perché diverso è anche il tessuto imprenditoriale e la struttura dell’ospitalità.

Lei però contesta la scelta dell’ateneo non solo come madre ma come albergatrice.

Certo. Intanto perché, così come mio figlio non sceglierà un percorso che lo avrebbe aiutato a inserirsi nella struttura alberghiera che gestiamo in famiglia, così faranno tanti ragazzi della zona, e le strutture ne risentiranno. E poi perché la modifica del corso non ha riguardato solo la lingua d’insegnamento. Tutta l’impostazione del corso è stata stravolta, con riferimenti internazionali che però lasciano completamente perdere quella che è la specificità del nostro territorio e l’italianità.

Siete solo voi albergatori ad essere preoccupati?

Non solo gli albergatori, ma tutto il settore del turismo della zona. Io ho sentito grande preoccupazione anche nei vari uffici di promozione turistica ed enti vari che frequentiamo. Lo vedono come un ostacolo che limiterà l’accesso di ragazze e ragazzi italiani a questi corsi. Un bacino a cui tutti attingevano. La nostra presidente si è fatta sentire ma io ho l’impressione che, come spesso avviene in Italia, alla fine l’università, come i comuni o il governo, faranno quello che vogliono senza ascoltare i cittadini, senza ascoltare le aziende, gli imprenditori.

Una perdita per il territorio.

Non solo per il nostro territorio. Suona strano che a livello nazionale ci si lamenti, dati alla mano, che il numero di iscritti alle università e di laureati continui a calare, e poi mettono una barriera linguistica all’interno del territorio italiano che mi fa un po’ sorridere.

L’inglese sembra quasi un dogma che non si può mettere in discussione, su cui non si può ragionare.

Non so se sia così. Quello che so è che forse si potevano trovare altre soluzioni. Io non sono nessuno per poter decidere questo, però ci sono corsi dove c’è solo un esame di competenza base d’inglese, che in certi casi può essere poco… ma da quel poco fino a questo troppo, dove tutto è solo in inglese, ci sarà pure una via di mezzo. Per esempio, anche i ragazzi mi dicevano: perché devo studiare economia, matematica o diritto in lingua, che non mi serve, perché i concetti li posso apprendere nella mia lingua. Forse potrei studiare qualche altra materia, in una lingua diversa. 

Tra l’altro l’inglese è senza dubbio importante, ma per voi ci sono anche altre lingue importanti. Penso al tedesco, per esempio.

Certamente. Il tedesco e anche il francese, oltre all’inglese. Ecco, una cosa interessante sarebbe stata, per esempio, all’interno di un corso fatto in italiano, tenere degli esami in lingue diverse legati ai diversi mercati. Per esempio, studiare in tedesco l’approccio con il cliente, l’approccio con le agenzie, le differenze culturali, il diritto locale, della Germania e dei Paesi di lingua tedesca. Questo sarebbe sensato e più utile.

Il nostro appello ha avuto qualche effetto, l’università ha replicato.

Sì, ho visto un nuovo articolo stamattina [ieri mattina per chi legge, ndr] sul Resto del Carlino dove l’università ha risposto in seguito alle tante email ricevute.

Però hanno detto che la decisione di passare al solo inglese è ormai presa e che è una “scelta condivisa“.

Non è una scelta condivisa da tutti, anzi. L’università ha detto che Federalberghi non ha partecipato alle varie riunioni che nei mesi scorsi sono state organizzate prima di prendere queste decisioni. Però io le dico che ha partecipato Promozione Alberghiera [cooperativa dell’imprenditorialità alberghiera, ndr], la quale ha fatto presente che abolire il percorso in italiano non era una buona idea e non serviva il territorio. Ma alla fine quelli dell’università sono andati dritti per la loro strada.

Quello che le ho raccontato è la mia esperienza da mamma che ha seguito questo gruppo di ragazzini che sta scegliendo il proprio percorso, e da albergatrice che ha seguito questa cosa tramite gli uffici.

E io la ringrazio di averlo fatto.

Grazie a lei.

 

Avete appena letto ciò che questa albergatrice riminese pensa dell’università che finanzia con le proprie tasse. Un’università che pone ostacoli a suo figlio, che pure conosce non solo l’inglese ma anche un’altra lingua straniera. Una università che ha deciso di disinteressarsi del territorio dove è collocata, e delle sue imprese. Questa è una testimonianza reale, che viene dal basso, “dal campo”. Non è isolata, perché l’associazione degli albergatori di Rimini ha espresso chiaramente la propria posizione su questa vicenda, e anche Promozione Alberghiera.

Di fronte a queste voci, l’ateneo bolognese resta indifferente e dichiara che la decisione è ormai presa e il corso dal prossimo anno accademico sarà solo in inglese. Punto.

Naturalmente continueremo a seguire l’evolversi della vicenda e cercheremo di portarvi i punti di vista degli altri attori coinvolti, compresa la stessa Università di Bologna.

Nel frattempo, chi lo vuole, può continuare ancora per alcuni giorni a far sentire il proprio dissenso.

Inserisci nel modulo qui sotto il tuo nome e la tua posta elettronica, che appariranno come mittenti. Se non modifichi oggetto e testo, rimarranno quelli predefiniti. Il messaggio verrà inviato all’indirizzo di riferimento del corso di laurea: [email protected] e in CC a [email protected], [email protected], [email protected], [email protected], [email protected], [email protected], e [email protected] (Ministero Università e Ricerca, Direzione Diritto allo studio, Ufficio Offerta formativa universitaria).

[ La petizione è ora chiusa ]

 

 

In copertina: Collezione cartoline Albertomos – Rimini, 1965 – Immagine di dominio pubblico. commons.wikimedia.org

SOSTIENICI CON UNA PICCOLA DONAZIONE
Condividi questo articolo:

Un pensiero su “«Non abolite Turismo in italiano all’università, lo chiedo da albergatrice e da mamma» Intervista sulla vicenda Rimini

  1. Ho inviato il messaggio con una mia aggiunta personale, ma tanto sono sicuro che questi non ci sentono. Bisogna passare alle maniere forti e denunciarli per interruzione o intralcio di servizio pubblico coinvolgendo studenti e relative famiglie e fare esplodere questo caso altrimenti continuando di questo passo chissà dove andremo a finire.

I commenti sono chiusi.