La catena della diffusione

Oggi gli anglicismi si diffondono per la maggior parte dall’alto, attraverso il linguaggio aziendale creato da aziende multinazionali che hanno l’inglese come lingua madre o come lingua veicolare, e attraverso i mezzi d’informazione e ormai anche direttamente dal mondo politico italiano. Abbiamo trattato questo argomento in una sezione dedicata.

Ma come attecchiscono gli anglicismi crudi che entrano nella lingua italiana attraverso questi canali. E soprattutto: sono davvero innoqui prestiti o parole passeggere, che vanno di moda per qualche tempo ma poi scompaiono?

In molti casi no. Infatti, molte parole inglesi entrano e si radicano in uno specifico ambito, o con una particolare accezione. Da lì, però, iniziano a riprodursi, creando derivati e nuovi termini che iniziano ad invadere altri ambiti, espendendosi ed eliminando le relative alternative italiane.

Facciamo qualche esempio.

Economy

La parola economy è oggi al centro di un sentito discorso economico-ambientale, e politici ed economisti italiani parlano di green economy, di sharing economy e di blue economy con la stessa disinvoltura con cui si utilizzano le parole italiane, senza affiancare queste espressioni con alternative e spiegazioni.

Ma da quando l’economia è diventata economy?

Dall’economy class alla new, net e old economy

Era il 1989, stando al Devoto Oli, quando la parola economy, decurtazione di economy class, cioè la classe economica, è stata introdotta nelle tariffe di biglietti di navi e aerei; ma oggi anche le Ferrovie dello Stato si sono adeguate alla riformulazione anglicizzata dei biglietti: dopo l’abolizione della terza classe si viaggia in economy.

Ormai, però, dall’aggettivo si è passati al sostantivo: nella seconda metà degli anni Novanta, infatti, è esplosa la new economy, e l’anglicismo, con il significato di nuova economia, si è propagato senza troppe alternative italiane, affiancato invece dall’alternativa net economy (economia della rete) e, per contrapposizione, ha portato con sé il concetto di old economy.

Dopo questi primi “prestiti” tutto sommato isolati, la situazione è degenerata a partire dal 2008, quando si è cominciato a parlare anche di sharing economy (economia della condivisione) e di green economy (economia verde). In questi ultimi 10 anni è poi comparsa la gig economy, l’economia dei lavoretti e della flessibilità.

Facendo un salto in avanti di una decina d’anni e avvicinandosi ai giorni nostri, ecco cosa accade cercando la parola “economy” in alcuni giornali italiani tra i più diffusi. Economy è diventato un termine contagioso, c’è l’app economy, l’industria legata alla programmazione delle applicazioni per smartphone e tablet (L’app economy varrà presto 6,3 trilioni di dollari), la data economy (Fujitsu World Tour 2018. Co-creation e data economy, l’AI ridisegna il workplace. Revisione delle infrastrutture di data center. Sicurezza e data protection. Nuovi luoghi, modalità e spazi di lavoro. Le prospettive future del cloud e soluzioni iperconvergenti), la space economy (Tavola rotonda al Festival dell’Economia di Trento sulla Space Economy), la Data-Driven Economy (Big Data, Machine Learning, Fintech, Blockchain, customer centricity, GDPR, Digital Marketing: tutto questo è Cerved Next, l’evento italiano dedicato ai pionieri della Data-Driven Economy) e persino la shock economy (Plutonomy vs Democracy: far vincere la Democrazia contro la Shock Economy è il vero potere del popolo).

La frittata è fatta, si diceva, la lingua degli articoli ecnomici è quella di questi esempi, e non si può di certo definire italiana. Il modello per la coniazione dei neologismi è ormai inglese, e la parola italiana economia diventa obsoleta, e relegata alla designazione del vecchio, mentre ciò che è nuovo, il futuro, è detto in inglese, e questo è il caposaldo di quello che abbiamo definito l’anglopurismo.

E infatti l’economia della terza età diventa la silver economy (“Silver Economy Forum: Genova vuole diventare capitale europea degli over 65, il Comune ha organizzato, insieme all’associazione Genova Smart City il Silver economy forum), quella degli animali domestici è la pet economy (Animali domestici, la pet economy supera i due miliardi), quella delle biciclette è la bike economy (Dal Trentino alla Liguria, la «bike economy» che crea valore), mentre al Al Cebit 2018 Italtel punta sulla Smart Economy.

I prestiti sterminatori

Ecco come si diffonde l’itanglese.

I cosiddetti “prestiti” non sono innocenti e isolati, si combinano in una rete di parole sempre più fitta che crea l’itanglese. Gli animali domestici sono pet, il settore alimentare è food e questi anglicismi si ricombinano tra loro formando una lingua nella lingua (e infatti si trova anche la food economy).

Tra lusso e necessità ci sono anche i “prestiti sterminatori”

Questi anglicismi entrano come fossero “prestiti di lusso”, secondo le classificazioni ridicole usate da chi non comprende affatto la natura del fenomeno, ma poi si trasformano in “prestiti di necessità”, perché lentamente le espressioni inglesi rendono obsolete le alternative italiane, che vengono usate sempre meno, prima come sinonimi e traduzioni secondarie che compaiono negli articoli di giornale per spiegare gli anglicismi urlati e ostentati nei titoloni, poi scemano sempre di più e la loro frequenza si riduce fino a quando dirlo in italiano diventa inusuale, se non impossibile.

La parola economia, se il vento non cambia, è destinata a regredire davanti all’anglicismo. Come è successo alla parola calcolatore, che un tempo era normale, che è stata affiancata fino agli anni Novanta a elaboratore, ma che oggi si può dire solo in inglese: computer. Ogni altra alternativa è morta. E chi parla dei prestiti di “lusso” e di “necessità” dovrebbe riflettere su una nuova categoria, quella dei prestiti “sterminatori” che una volta acclimatati fanno morire le parole italiane.

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