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Fabio Rampelli ha risposto via Facebook ad alcune delle critiche ricevute in questo fine settimana sulla proposta di legge per l’italiano di cui è primo firmatario, precisandone alcuni punti.
Riportiamo integralmente la sua risposta:
NON CI CREDO CHE LA SINISTRA ITALIANA SIA CONTRO LA DIFESA DELLA NOSTRA LINGUA E DELLA DEMOCRAZIA
Le reazioni giunte da sinistra sulla mia storica proposta di legge a tutela della lingua italiana mi hanno stupito.In tutta Europa la sinistra è scesa in campo in difesa delle lingue madri dall’invasione dell’idioma anglo-americano, reso ancora più aggressivo dalla stagione globalista. In effetti molte regioni europee, più piccole e con una diversa storia dietro le spalle, intravvedono il rischio della prematura morte della propria lingua. Vuoi per ragioni culturali, la lingua è il principio cardine della cultura di una nazione, vuoi per difendere i cittadini dalle distorsioni del mercato, con aziende internazionali che propinano contratti di lavoro, convenzioni, condizioni e pubblicità in lingua inglese.L’uso della lingua madre garantisce l’universalità della democrazia, la quale per definizione deve rendere accessibili leggi, diritti e opportunità a tutti i cittadini, compresi gli anziani o i giovanissimi, gli operai e in genere quei lavoratori che per ragioni varie hanno iniziato a sgobbare fin da ragazzi e posseggono come titolo di studio la quinta elementare o la terza media.E così qualche spocchioso aspirante cerimoniere dei salotti bene, per fortuna un po’ in crisi con la destra al governo, ha trovato il modo di polemizzare con un’iniziativa necessaria in questo tempo, per partito preso, invece che unirsi con le proprie proposte migliorative a una battaglia di tutti, come di tutti sono la lingua italiana e la democrazia.In Europa, a eccezione delle nazioni multilingue e di quelle anglofone, quasi tutte le altre salvaguardano la propria lingua fin dalla Costituzione e molte possiedono leggi ordinarie a normare la prescrizione costituzionale, proprio con questi intenti: promuovere la lingua madre e presidiare il diritto alla comprensione. In Francia, oltre alla legge Toubon, da cui ho tratto ispirazione, la corte costituzionale ha annullato un accordo sindacale dove i lavoratori erano stati costretti a firmare un testo interamente scritto in inglese. Per essere più rigidi i cugini transalpini hanno rincarato la dose varando una legge sul ‘Diritto alla comprensione’, proprio a tutela di lavoratori e cittadini.Poi c’è l’aspetto finale delle sanzioni, su cui la disinformazione si è accanita, lasciando intendere – more solito – una bestialità e cioè che sarebbero multati i cittadini che useranno lingue straniere parlate o scritte. Sono veramente ridicoli.Per quanto questo aspetto sarà fatalmente dettagliato nei decreti attuativi è ovvio che i soggetti cui si rivolge la legge sono gli enti pubblici e privati e non le singole persone, che restano banalmente libere di parlare la lingua che credono. Ed è altrettanto ovvio che tutte le attività di soggetti italiani destinate anche all’estero debbano essere declinate in lingua straniera oltre che in italiano. Ragione per la quale per promuovere il marchio italiano all’estero si dice ‘Made in Italy’ invece che ‘fatto in Italia’.Così come è scontato che lo spirito non è quello autarchico di italianizzare le parole straniere, ma al contrario quello di provare a usare i termini italiani quando esiste una parola corrispettiva, anche per non scadere in un provincialismo che non è in sintonia con la nostra storia e con quella nobile del nostro idioma.Con queste precisazioni si stabilisce l’incontrovertibile giudizio di cialtroneria dei ‘critici a prescindere’. ‘A prescindere’ appunto occorre dare addosso alle nostre proposte. Sono dei poveracci…
Il testo è accompagnato da una carta della Ue riguardante l’ufficialità delle lingue locali nelle rispettive Costituzioni:
Per quanto l’on. Rampelli si rivolga alla “sinistra”, da cui certamente sono arrivate critiche e che da anni colpevolmente ignora il tema, dobbiamo ricordare che perplessità sono arrivate anche da altre parti, compresa l’Accademia della Crusca che dovrebbe essere coinvolta attivamente secondo quanto la legge prevede.
Se è vero che c’è della disinformazione sul contenuto della legge, la quale chiaramente non riguarda il parlato e non vieta ai singoli cittadini di parlare la lingua che vogliono con le parole che preferiscono, è anche vero che alcuni contenuti appaiono radicali (le traduzioni ad ogni evento pubblico, le sanzioni elevate…) e che c’è una forte questione di metodo. Se è vero (e ne siamo certi) che questa dovrebbe essere “una battaglia di tutti, come di tutti sono la lingua italiana e la democrazia”, allora forse si sarebbe potuto adottare un metodo diverso, interpellando la Crusca e altri soggetti da tempo interessati al tema, aprire da subito la porta alla partecipazione delle opposizioni, investire tempo e risorse per spiegare ai cittadini cosa si intendeva fare. Non si è scelto di procedere in questo modo.
Speriamo comunque che la proposta approdi in aula, e che nel frattempo venga approvata la modifica costituzionale per l’inserimento dell’italiano in Costituzione. Ci auguriamo che la proposta Rampelli venga discussa e migliorata ma che finalmente si arrivi entro la legislatura a una legge organica che ponga quantomeno le basi di una vera politica linguistica, aperta ed equilibrata, per l’italiano.
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Copertina: foto di Fabio Rampelli mentre firma la proposta di legge a dicembre, via FB
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