L’italiano in Istria, una cultura resa minoritaria che cerca di rifiorire

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Ricorre oggi il Giorno del Ricordo, una giornata ufficiale istituita in Italia per non dimenticare gli avvenimenti che, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, portarono all’esodo di migliaia di persone di lingua e cultura italiana dalle coste dell’Adriatico orientale – nelle regioni di Istria, Quarnero e Dalmazia – dopo che quelle terre erano state assegnate alla Jugoslavia.

La città di Pola vide nel giro di un anno quasi tutta la sua popolazione abbandonare le proprie abitazioni e i propri averi. La comunità di lingua italiana, fino ad allora maggioranza sulle zone costiere dell’Istria e nell’immediato entroterra, divenne minoranza. Una minoranza costituita dai cosiddetti “rimasti”, persone che decisero di restare a vivere nel nuovo Stato jugoslavo e che hanno permesso alla nostra lingua di non scomparire e di poter sperare in una rinascita, nel segno della pace e in un contesto europeo che sfuma le barriere nazionali (COVID permettendo). In quelle terre vivono molti nostri lettori, che ci seguono dall’Istria sia slovena che croata e anche da Fiume, nel Quarnero, e da altre città. In molte municipalità l’italiano è oggi lingua co-ufficiale con il croato o lo sloveno, anche se l’applicazione concreta del bilinguismo spesso lascia a desiderare.

Un po’ di storia

Facciamo un passo indietro per capire il contesto. La storia recente di queste terre vede la presenza della Repubblica di Venezia, dell’impero Austro-Ungarico, dell’Italia, poi della Jugoslavia, per poi giungere ai confini attuali.

La massima estensione della sovranità veneziana sulla penisola istriana fu raggiunta in seguito all’esito del lodo arbitrale di Trento del 1535. Da quel momento, Venezia conservò la sovranità su buona parte dell’Istria fino alla dissoluzione del suo Stato per opera di Napoleone nel 1797.

Nel 1335 gli Asburgo acquisirono il possesso della Carinzia e della Carniola, venendo così in contatto con i territori dei conti di Gorizia. A seguito del trattato di Campoformio del 1797 l’Istria assieme a tutto il territorio della Repubblica di Venezia fu ceduta agli Asburgo d’Austria. Dal 1805 al 1813 cadde sotto la dominazione francese. Nel 1814 l’Istria tornò sotto gli Asburgo. Nel 1825 venne costituita la provincia istriana unendo il territorio già veneziano al territorio già austriaco, con l’aggiunta delle isole quarnerine di Cherso,Lussino e Veglia.

Pubblicato sotto l’Austria-Ungheria, 36 anni prima dell annessione all’Italia (foto: Marco Quaglia)

 

Carta geografica austriaca del 1880
A seguito della vittoria dell’Italia nella prima guerra mondiale con il trattato di Saint-Germain-en-Laye (1919) e il trattato di Rapallo (1920), l’Istria divenne parte del Regno d’Italia. La popolazione dell’Istria era plurietnica e plurilingue, con prevalenza dell’elemento culturale e lingustico italiano sulla zona costiera e di quello slavo (sloveno e serbo-croato) nell’entroterra.
Nel 1946, in seguito alla sconfitta italiana nella seconda guerra mondiale, la maggior parte dell’Istria, così come il Quarnaro (o Quarnero), dove si trova la città di Fiume, vennero assegnate alla neonata repubblica di Jugoslavia. La maggior parte della popolazione di lingua e cultura italiana decise di emigrare, spinta anche da numerosi attentati che – secondo molti storici incoraggiati dal governo jugoslavo – fecero loro capire che per gli italiani rimasti sarebbero arrivati tempi duri. Un tragico esempio è la famigerata strage di Vergarolla. La città di Pola vide la partenza di 28.000 persone (su 31.000 abitanti totali) Questo fenomeno è conosciuto come “Esodo Istriano”. Solo i comuni di San Dorligo della Valle e di Muggia restarono all’Italia. Analoghi esodi furono quello fiumano e dalmata.
Nonostante questo, l’elemento culturale italiano resistette, grazie anche alla costituzione delle “Comunità degli italiani”, gruppi di cittadini che lottarono per il mantenimento della propria identità e per i propri diritti. Tra il 1991 e il 1993, con la guerra che portò alla dissoluzione dello Stato jugoslavo, l’Istria si trovò divisa tra Repubblica di Slovenia e Repubblica di Croazia.

La situazione oggi

Oggi sia nella parte slovena che in quella croata vige a vari livelli il bilinguismo tra lingua nazionale e lingua italiana.

In Slovenia l’italiano è co-ufficiale nei comuni costieri di Ancarano, Isola, Portorose, Pirano e Capodistria. In questi comuni esistono scuole di lingua slovena, in cui è obbligatorio lo studio della lingua italiana come lingua straniera, e scuole dove l’insegnamento è in italiano con l’obbligo dello studio della lingua slovena. L’Università del Litorale tiene alcuni corsi anche in lingua italiana. La segnaletica stradale e la toponomastica sono bilingui e in alcuni casi trilingui (sloveno, croato, italiano). Anche a livello di amministrazione pubblica la minoranza italiana è garantita. Le concessioni da parte dello stato centrale verso la minoranza italiana sono state agevolate dall’esiguità numerica degli sloveni-italiani, circa 3000 persone, che diventano 6000 considerando gli italofoni in generale.

Sono invece circa 30.000 i Croati-Italiani, 40.000 considerando gli italofoni e non solo le persone che si dichiarano di etnia italiana. Nell’Istria croata – la parte di territorio più estesa delle tre – vige il bilinguismo a livello regionale e a livello comunale in alcuni dei comuni, tra cui Umago, Cittanova, Rovigno, Parenzo e Pola, il capoluogo della regione. Anche qui la segnaletica stradale è completamente bilingue, sia nei comuni interessati che sulle arterie autostradali che attraversano la regione.

L’italiano è considerata “lingua sociale” ed il suo uso è quindi permesso e incoraggiato in ogni ambito pubblico e privato. Anche qui come in Slovenia esistono scuole dove l’insegnamento avviene in italiano e altri in lingua croata (dove l’italiano però non è obbligatorio).

La minoranza di lingua e cultura italiana in Slovenia e Croazia è rappresentata dall’Unione Italiana, nata nel 1991, che riunisce le Comunità degli Italiani presenti nelle varie località e gode di un seggio al parlamento croato e di uno in quello sloveno. L’Unione, con sede a Fiume, è anche proprietaria della casa editrice Edit, che realizza testi scolastici, libri, riviste e che edita il quotidiano in lingua italiana La Voce del Popolo. Vi invitiamo a visitare il sito del giornale, a seguirlo gratuitamente sulle reti sociali e a valutare un abbonamento, anche solo digitale, per restare informati su questa splendida realtà sostenendo al tempo stesso la comunità italofona.

E domani?..

La regione da secoli vede la presenza di una forte componente slava accanto a una forte componente italiana, ma dopo la seconda guerra mondiale quest’ultima si è fortemente ridotta fino a diventare marginale. Gli sforzi degli italiani e degli italofoni locali, uniti al mutare delle condizioni politiche e all’appoggio finanziario dell’Italia, hanno lentamente fatto fiorire e crescere il bilinguismo. Senz’altro un fatto positivo per la varietà culturale della regione, che però in gran parte è ancora sulla carta.

Le leggi infatti stabiliscono e tutelano il bilinguismo in molte città e paesi dell’Istria, ma spesso non sono applicate oppure lo sono solo  parzialmente. L’esiguità numerica degli italofoni locali è un limite all’attuazione di un vero bilinguismo. Il turismo e i contatti economici con l’Italia sono una strada che l’Unione Italiana sta cercando di percorrere, anche se la pandemia ha sospeso ogni progetto.

Tuttavia nella cosiddetta “maggioranza”, i cittadini di madrelingua slovena o croata, spesso c’è ancora diffidenza verso il tentativo della cultura italiana di difendere il suo spazio e conquistare nuova visibilità. Emblematico è il caso di Fiume, dove il bilinguismo non fu mai abolito ufficialmente ma de facto, come reazione alla restituzione all’Italia della città di Trieste. Proprio a Fiume, capitale europea della cultura nel 2020, l’applicazione di targhe turistiche con i nomi storici delle vie e piazze della città ha causato lunghe polemiche, così come il sito della manifestazione, la cui versione italiana è arrivata sei mesi dopo quella croata, e dove nel nome ufficiale appariva sempre e solo il toponimo croato della città, Rijeka. Eppure andando a Vienna o nel parlamento ungherese a Budapest, si trovano targhe con il solo nome Fiume.

Ci auguriamo che con il tempo queste difficoltà verranno ridimensionate e poi superate. Per il momento, rivolgiamo un saluto e un grande ringraziamento a tutte le persone che – anche a fronte di vicende personali molto dolorose – hanno scelto di restare e di portare avanti una cultura e una lingua (l’italiano così come l’istroveneto e i tanti dialetti locali) che abita da secoli in queste terre.

Vi lasciamo con un video, registrato a TV Capodistria due anni fa, che offre in un dibattito vivace uno spaccato delle sfide e delle opportunità di una regione istriana e fiumana realmente plurilingue:



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