La più antica lirica italiana: “Quando eu stava in le tu cathene”

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Quella che è considerata la più antica lirica amorosa italiana è stata rinvenuta dallo studioso Giovanni Muzzioli a Ravenna nel 1938, trascritta sul retro di una pergamena con un atto di vendita di una casa. Per essere più precisi, il ritrovamento comprendeva due testi. Il primo è composto da cinquanta decasillabi, e l’incipit recita:

Quando eu stava in le tu’ cathene,
oi Amore, me fisti demandare
s’eu volesse sufirir le pene
ou le tu’ rechiçe abandunare,
k’ènno grand’e de sperança plene.

In italiano corrente potremmo dire: “Quando stavo nelle tue catene, o Amore, mi facesti domandare se volessi soffrire le pene oppure rinunciare alle tue ricchezze, che sono grandi e di speranza piene”. Il secondo reperto è invece composto da cinque endecasillabi che sembravano essere un testo a parte (“Fra tuti qui ke fece lu Creature, / nusune ne serà sença tenure / c’ame, quant’e’ sulu facu, Amure. / El m’aucid’e confunde a tute l’ure, / sì che [m]ai poso né note né die”).

Davanti a questi versi inediti tutti da interpretare, Muzzioli passò il documento a uno stimato esperto, il filologo Augusto Campana, il quale lo studiò a lungo ma non lo pubblicò mai, e così nessuno ha mai saputo della sua esistenza, almeno fino agli anni Novanta, quando il filologo Alfredo Stussi lo ha ritrovato, studiato e finalmente pubblicato nel 1999, quasi sessantanni dopo il rinvenimento. E nel divulgarlo lo ha datato tra la fine del 1100 e gli inizi del 1200.

Questa datazione ha aperto molti interrogativi e dibattiti tra gli studiosi, perché ne faceva la più antica lirica amorosa nel volgare del sì, che anticipava di molti decenni quelle della scuola siciliana nate alla corte di Federico II dopo il 1220. Ma troppi particolari non tornavano, visto che gli elementi tipici della lirica provenzale convivevano con elementi siciliani che non trovavano una loro spiegazione. C’è chi ha ipotizzato l’esistenza di una letteratura pre-federiciana andata perduta, che tuttavia non aveva un perché né altri reperti coevi, soprattutto da collocare in una città come Ravenna.

Nel 2022, però, una nuova interpretazione del testo sembra finalmente aver risolto il mistero.

Il libro di Roberta Cella e Nino Mastruzzo

Due autorevoli ricercatori, la filologa Roberta Cella e il paleografo Nino Mastruzzo, hanno da poco pubblicato un libro molto accurato e convincente – La più antica lirica italiana. «Quando eu stava in le tu cathene» (Ravenna 1226), Il Mulino, Bologna 2022 – che incrociando molti elementi ha postdatato quella canzone collegandola a un preciso avvenimento del 1226.

Tra il 2 aprile e il 7 maggio di quell’anno, infatti, Federico II soggiornò insieme alle sue truppe e a tutta la corte che lo seguiva proprio a Ravenna, un comune fedele all’impero. Il fatto è ben documentato; l’imperatore era partito da Brindisi per raggiungere Cremona, un comune alleato, dove avrebbe dovuto partecipare a un incontro strategico su questioni politiche e militari. Ma le città a lui avverse, tra cui Milano, Bologna e Padova, per impedire che il vertice si svolgesse diedero vita a una seconda Lega Lombarda e con le loro truppe concentrate nella roccaforte di Faenza sbarrarono la strada a Federico che rimase bloccato a Ravenna e non riuscì a proseguire oltre.

Per comprendere la vicenda bisogna premettere che il sistema feudale del Medioevo italiano nel Duecento era entrato in crisi e si scontrava con l’ascesa dei comuni sempre più automi dal punto di vista economico e militare. E la disponibilità di denaro degli ambienti comunali costituiva una nuova forma di ricchezza rispetto a quella che l’imperatore offriva ai feudatari concedendo loro i benefici di terre e castelli. Questi erano in fin dei conti dei beni limitati, mentre l’espansione del commercio e dei comuni offriva differenti prospettive che potevano essere incrementate e rivelarsi ben più promettenti.

Statua di Federico II – Palazzo Reale, Napoli

Federico II, dopo essere stato incoronato imperatore del Sacro Romano Impero nel 1220, si operò per la costruzione di un nuovo Stato unitario attraverso un disegno politico che puntava a una rifondazione illuminata e moderna del sistema feudale. Questo progetto si scontrava con la politica di molti comuni che volevano sottrarsi al controllo imperiale, soprattutto quelli settentrionali che per difendere la loro autonomia si erano già coalizzati nella Lega Lombarda contro la minaccia di Federico Barbarossa.

A quei tempi la poesia nel volgare della lingua del sì non esisteva, e circolavano invece i componimenti nella lingua d’oc, impiegata anche da molti compositori italiani che sceglievano di scrivere in provenzale, mentre altri si ispiravano alla tradizione della lingua d’oil usata nei cicli epici carolingi che narravano le vicende di Carlomagno e dei suoi paladini contro i Saraceni (Chanson de geste), e il ciclo bretone con Tristano e Isotta, re Artù e i cavalieri della tavola rotonda. In altre parole, la poesia in volgare italiano non era ancora nata e, per arrivare a tutti, i compositori usavano le lingue francesi, seguendo in modo naturale i precedenti di grande successo della tradizione poetica nelle lingue che allora erano considerate internazionali.

La poesia siciliana nacque alla corte di Federico in questo clima, e l’idea di dare vita a una lirica amorosa che seguiva gli stessi canoni dei trovatori provenzali, ma si esprimeva nella lingua del sì, fu una scelta politica, che prendeva le distanze sia dal latino della Chiesa – Federico II aveva dato vita all’università di Napoli che fu la prima istituzione laica e svincolata dall’autorità religiosa – sia soprattutto dal provenzale, la lingua poetica dei comuni avversari del nord. Fu un scelta linguistica dal significato formale, e non un fenomeno spontaneo legato alla parlata locale della Trinacria, e infatti alcuni poeti come Pier della Vigna, nato a Capua, e lo stesso Federico II non erano affatto siciliani.

Come tutte le guerre, quel conflitto tra impero e comuni non era solo militare, era fatto anche di propaganda che avveniva in modo ufficiale attraverso lettere scritte in latino indirizzate ai comuni, e in via ufficiosa e più popolare attraverso la poesia. Le liriche in provenzale dei trovatori dei comuni del nord non erano solo amorose, avevano anche intenti politici e circolavano canzoni che promuovevano l’abbandono dell’imperatore per unirsi alla Lega. La propaganda non era rivolta solo ai comuni, ma anche ai feudatari locali che per tradizione erano legati all’impero, ma erano tentati dalle alleanze con il mondo comunale che offriva maggiori opportunità di guadagni.Secondo l’interpretazione di Cella e Mastruzzo, “Quando eu stava in le tu cathene” era proprio una risposta poetica da leggersi in questa chiave, e dietro il dilemma tra lo stare nelle catene dell’amore e soffrire – nella speranza di ottenere una ricompensa che non sarebbe forse mai arrivata – o abbandonarlo, c’era proprio la metafora politica del dilemma tra l’alleanza con l’impero o con i comuni.La canzone era in siciliano, la lingua contrapposta al provenzale, e un altro elemento di novità è che era accompagnata dalla musica, anche se non abbiamo idea di come fosse, e dunque era cantata, più che declamata.

Una poesia musicata

Quel componimento fu probabilmente cantato a Ravenna durante il soggiorno di Federico, e due ravennati lo ascoltarono e lo trascrissero sul retro della pergamena di un vecchio contratto usato come carta da riciclo, come a quei tempi si faceva abitualmente, nonostante le pergamene fossero trattate e adatte alla scrittura soltanto da un lato. La carta e la pergamena a quei tempi erano piuttosto costose, e i vecchi documenti venivano utilizzati abitualmente come supporto per scrivere altre cose, e infatti sino a quel momento anche tutti gli altri frammenti in volgare si trovano scritti sugli spazi bianchi di altri testi, dal recentissimo ritrovamento del manoscritto tedesco di Würzburg “Fui eo, madre, in civitate, vidi onesti iovene”, al Ritmo laurenziano vergato su un più antico martirologio che risale alla fine del XII secolo. Nessuno, fino alla fine del Duecento, pubblicò mai un libro di poesie in volgare e il costo di un libro, allora, era paragonabile a quello di una casa, anche perché era un oggetto con un valore estetico e prezioso, spesso miniato dagli amanuensi e talvolta rilegato su commissione con i piatti ornati da gemme.

Durante la trascrizione, come in uso a quell’epoca, il testo originale fu sottoposto a una “coloritura” che adattava il siciliano alla parlata di Ravenna, che in termini moderni potremmo definire una sorta di “localizzazione” che rendeva la lirica più comprensibile e più naturale alle orecchie dei concittadini. E la cosa interessante è che i due testi, che a lungo sono stati interpretati come due diversi componimenti, sono stati trascritti insieme alla notazione musicale, anche se oggi non sappiamo bene come decifrarla, e forse appartengono a una sola canzone, di cui i cinque endecasillabi sono il ritornello.

Il ruolo della musica nelle prime liriche in volgare è un fenomeno controverso e poco indagato – per la mancanza di testimonianze – ma alcuni studiosi recentemente hanno messo in risalto questo aspetto sommerso. Di certo erano cantati, cantilenati e musicati i primi reperti del volgare dei Ritmi cassinese, bellunese e laurenziano, così come la lirica provenzale, ma anche il Cantico di Francesco e le lodi di Jacopone da Todi in volgare umbro erano canti religiosi accompagnati dalla melodia.

E il fatto che “Quando eu stava in le tu’ cathene” fosse una lirica musicata e cantata lascia ipotizzare che anche le altre liriche siciliane seguissero forse lo stesso schema. Se la scuola poetica federiciana si può leggere come la continuazione degli stilemi provenzali nel volgare della lingua del sì, a lungo si è pensato che il divorzio tra il testo e la musica, che nei canzonieri dei trovatori convivevano, fosse avvenuto in questo passaggio, mentre le partiture musicali di “Quando eu stava in le tu cathene” ci dicono che non è affatto andata così, almeno nel caso di questa canzone.

Antonio Zoppetti


In copertina: Ritratto di Federico II con il falco, dal suo trattato De arte venandi cum avibus – Wikimedia

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