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La battuta del Presidente del Consiglio Mario Draghi sull’abuso di anglicismi è stata ripresa da tutti i mezzi di comunicazione italiani e ha riportato l’attenzione del grande pubblico su questo tema, cui il nostro portale è da sempre attento.
Nella schermata qui sopra appare anche la contestuale figuraccia del presidente veneto Zaia, che dopo l’invenzione della “regola del droplet” ha trasformato i “caregiver” (accuditori, portatori di cure) in “cargiver“, credendo che fossero gli autisti che trasportano le persone disabili. Un ennesimo esempio della poca trasparenza di parole di cui davvero non si capisce l’esigenza.
Certo, molte persone ancora confondono la consapevolezza che quando una lingua usa parole “proprie” risulta più coerente e chiara con una posizione di chiusura o purismo…
Ma proprio questa battuta “inaspettata” di Draghi ha spiazzato gli anglofili più radicali. Perché certo il Presidente del Consiglio non si può ritenere persona che non conosca gli ambienti internazionali o che non sappia usare l’inglese.
Una riflessione, quella di Draghi, che è stata particolarmente gradita all’Accademia della Crusca. “Che bello, grazie presidente! – ha commentato all’agenzia Adnkronos il professor Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia- Da Draghi è arrivato un invito sereno a scegliere le parole italiane e a fare a meno di inutili forestierismi, specialmente inglesi. Sono molto contento che lo abbia fatto un uomo di provata esperienza internazionale che per anni ha fatto giustamente discorsi in lingua inglese. È un segnale importante, perché viene da una personalità che non può certo essere tacciata di provincialismo”.
“Da Draghi arriva un segnale interessante di attenzione al problema dell’eccessivo uso delle parole inglesi nell’italiano, spesso adoperate a sproposito – aggiunge Marazzini – Anche a causa della pandemia ha preso piede in Italia una fiera di parole inglesi senza precedenti, a partire da lockdown per proseguire con smart working, quando ad esempio si può usare l’italiano e comprensibile lavoro agile.“
Marazzini, in una successiva intervista alla redazione fiorentina del quotidiano La Repubblica, ha colto l’occasione per approfondire il tema degli anglicismi crudi che pervadono ormai ogni campo dello spazio pubblico, quasi sempre perfettamente sostituibili con equivalenti italiani già noti. Un terreno insidioso, sul quale l’istituzione di riferimento per la lingua italiana, fondata a Firenze nel 1583, si batte ormai da anni, con numerosi appelli da parte dei suoi studiosi ma anche attraverso le consulenze linguistiche. Certo, l’Accademia secondo noi potrebbe e dovrebbe fare di più, e schierarsi in modo unanime, come ha fatto a favore dell’uso del femminile nelle professioni. Invece il gruppo Incipit, creato per proporre alternative, ha prodotto in oltre cinque anni di attività solo 15 proposte.
Quindici sono anche gli anglicismi secondo Marazzini più diffusi dalla stampa e dalla politica italiana, immediatamente sostituibili con equivalenti autoctoni. Eccoli, insieme alle alternative citate dallo stesso Marazzini:
Authority: come quella per la protezione dei dati personali, o quella per le garanzie nelle comunicazioni. L’equivalente italiano, “autorità”, funziona benissimo.
Performance: basterebbe usare “prestazione”.
Competitor: “concorrente”, o anche “competitore”.
Slide: molti pensano erroneamente che sia intraducibile con “diapositiva”, credendo che si riferisca soltanto alle proiezioni fatte con un computer. Ma se mostriamo a un madrelingua inglese una vecchia diapositiva analogica, la chiamerà “slide”. Questo è il luogo comune in base al quale il significato inglese è più specifico, mentre in realtà lo è diventato solo in italiano.
Endorsement: va molto di moda nel linguaggio politico, ma significa semplicemente “appoggio” o “sostegno”.
Sold out: è semplicemente “tutto esaurito”.
Auditing: molto usato in ambito universitario, può essere tradotto con “audizione”, “esame”.
Panel: nei convegni o in ambito aziendale, è un “gruppo” di persone che fa qualcosa, o un comitato, una commissione, a seconda dei casi.
Standing ovation: basta una ”ovazione”, magari anche da seduti, o un’espressione come “tutti in piedi”.
Backstage: è il nostro “retroscena”, o il “dietro le quinte”.
Smart: si usa tantissimo per computer, automobili, telefoni, ma significa semplicemente “furbo”, “intelligente”. Nel caso dei dispositivi si può rendere con “connesso” (TV connesso, per esempio, è diffuso accanto a Smart TV). Così come lo “smart working” non è altro che il “lavoro agile” o, in senso più generico, il lavoro da casa o da remoto.
Dress code: storicamente nell’etichetta italiana si parla di “abito scuro” ma, ora che in certi ambienti non è più obbligatorio, si può dire “abito adeguato”. A volte si trova anche il calco “codice di abbigliamento“.
Fake news: è una notizia falsa, una bufala.
Baby sitting: è una delle due espressioni citate da Draghi, possiamo tradurla semplicemente con “assistenza dei bambini”, o “cura dei figli”.
Caregiver: stesso ragionamento, possiamo usare “familiare assistente”. C’è chi propone anche “accuditore”, o di generalizzare il termine “badante” o “assistente”.
Ricordiamo a tutti che esiste un dizionario delle Alternative Agli Anglicismi creato e rilasciato gratuitamente da un privato cittadino, Antonio Zoppetti, ospitato da un sito collaborativo e senza scopo di lucro, il nostro, che fornisce alternative in uso e possibile a oltre 3700 anglicismi circolanti in italiano.
Certo apprezziamo le posizioni di Marazzini e dell’Accademia che rappresenta, ma credo che quando sul proprio sito gli accademici vedono che il 90% delle “parole nuove” in italiano sono parole inglesi, dovrebbero e potrebbero fare di più. Vedremo se Mario Draghi darà un seguito alla sua battuta, scegliendo di usare meno anglicismi nei suoi futuri discorsi e nel nome delle iniziative del governo. Vedremo anche se l’Accademia saprà cogliere questa occasione per mettere in piedi un’iniziativa forte di sensibilizzazione sull’argomento. Lo speriamo. E, nel nostro piccolo, siamo chiaramente pronti ad aiutare.
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