Droplet, l’anglicismo (sbagliato) da Coronavirus

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Nei giorni scorsi sui quotidiani italiani si è fatto spazio, nel cosiddetto “dizionario del coronavirus” il termine “droplet”, accompagnato da differenti sostantivi. C’è chi parla di “criterio droplet”, chi di “regola” o “norma” del droplet. Cos’è questo criterio?

Nient’altro che una distanza minima di sicurezza. La distanza da tenere tra persona e persona per evitare un contagio dovuto a starnuti. In inglese droplet significa infatti semplicemente “gocciolina”, riferita alla saliva, e non ha alcun riferimento ai criteri di distanza.

Tutto questo sembra essere sconosciuto a gran parte dei mezzi d’informazione italiani (un pochino meglio quelli svizzeri).



Un criterio che, per quanto fantomatico, secondo certa stampa deriva direttamente dal decreto emesso il 1° marzo 2020 dal governo italiano. Ma nel testo ufficiale del decreto non vi è traccia della parola “droplet”, e nemmeno nel comunicato stampa che lo annuncia. Secondo altri è invece un termine tecnico. Una giornalista Rai parlando della distanza minima di 1 metro tra avventori in bar e ristoranti del Veneto chiosava “il termine tecnico è droplet”. In inglese però non esistono concetti medici identificati da locuzioni come droplet rule o droplet criterion, e neppure droplet distance, che avrebbero potuto dare origine a espressioni ibride come regola del droplet o criterio Droplet o distanza droplet.

Proprio dal Veneto però queste locuzioni si sono diffuse a livello nazionali, e più precisamente in seguito a un’intervista rilasciata dal governatore della regione Zaia, il quale lo utilizza per ben tre volte in meno di due minuti. Ecco le sue parole:

Riportiamo qui sotto la trascrizione dei punti salienti:

Per quanto ci riguarda, vuol dire: i centri commerciali aperti ma con le limitazioni del droplet, quindi contingentando le presenze ed evitando che ci siano masse. […] Cinema aperti sempre con la distribuzione droplet con la riduzione dei posti per avere più spazio tra avventore ed avventore. […] Per bar e ristoranti abbiamo chiesto che venga anche lì inserita la partita del droplet e quindi soli posti a sedere e nessuna somministrazione alle persone che sono in piedi.

Un discorso confuso e in cui il significato di “distanza minima”, così semplice da esprimere, resta totalmente oscuro.

Fortunatamente il Ministero della Salute italiano, nelle domande frequenti dedicate al tema, non usa mai questo anglicismo, parlando sempre di “goccioline del respiro”, “secrezioni salivari” o “goccioline di saliva”.

Tutta la confusione deriva probabilmente da un’errata interpretazione del termine droplet utilizzato per distinguere la trasmissione per via salivare da quella per pura via aerea, che, come ha spiegato l’epidemiologo Paolo D’Ancona in un tweet raccolto dal blog Terminologia etc. ha anche implicazioni pratiche e organizzative. Una distinzione che si è completamente persa nel passaggio alla stampa e alla comunicazione politica, producendo solo un linguaggio oscuro e incomprensibile.

Invece – non ci stanchiamo di ripeterlo – la comunicazione pubblica deve essere chiara e trasparente, a maggior ragione in casi di emergenza sanitaria come questa.


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