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Turkish Airlines diventerà Türkiye Hava Yollari, una traduzione letterale che significa Linee aeree della Turchia. Un cambio di nome, quello della compagnia aerea di bandiera turca, che segue la linea indicata dal presidente Recep Tayyip Erdogan, che intende aumentare il valore del marchio turco nel mondo.
Lo scorso giugno il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu aveva riferito che il nome della Turchia è stato registrato come Turkiye presso le Nazioni Unite. Su Twitter il ministro aveva dichiarato: “Con la lettera che ho inviato al segretario generale dell’Onu, abbiamo registrato il nome del nostro Paese in lingua straniera come ‘Turkiye. Buona fortuna”. Lo stesso presidente Erdogan, alla cerimonia per il lancio di un nuovo satellite, aveva dichiarato “Non esiste più alcuna Turkey. E’ solo Türkiye”.
La parola Türkiye (pronunciata più o meno tur-chi-ie) significa semplicemente Turchia, in lingua turca, e il Paese vuole ora fanne un marchio per meglio rappresentarsi nel mondo. Qualcuno commenta che forse il doppio senso dell’inglese turkey (che significa anche “tacchino”) può essere uno dei motivi della scelta. L’obiettivo è rappresentare meglio “la cultura e i valori turchi”, dicono fonti di Ankara. Di fatto il “Made in Türkiye” viene sempre più adottato per le esportazioni, mentre le campagne pubblicitarie mostrano già i turisti che dicono “Hello Türkiye” per promuovere le destinazioni più popolari del Paese.
La Turchia ha intrapreso da tempo un processo di valorizzazione e promozione della propria lingua, proponendola senza successo come lingua ufficiale all’ONU, spingendone l’insegnamento nei Paesi dove la Turchia investe maggiormente, molti dei quali sono nazioni storicamente legate all’Italia: Croazia, Montenegro, Albania, Libia e Somalia, dove il turco è oggi la seconda lingua straniera più studiata dai giovani dopo l’inglese. Articoli turchi hanno attaccato – non a caso – la ripresa delle trasmissioni in lingua italiana su Radio Mogadiscio, bollandola come un ritorno di “una lingua coloniale”. Pur essendo il grosso dei turcofoni concentrati nella sola Turchia, è stata creata una Organizzazione dei Paesi di lingua turcica, che spinge l’intercomprensione linguistica come mezzo di potere morbido e influenza geopolitica.
Quanto a Turkish Airlines, il cambio di nome non avrà ripercussioni sull’operatività del vettore e la vendita della biglietteria. Anche i codici Iata resteranno, appunto, invariati. Quello che avverrà è un cambio estetico, con le livree degli oltre 300 aerei della compagnia che progressivamente vedranno campeggiare la scritta Türkiye Hava Yolları.
Di fronte a questa notizia non può che venire alla mente la scelta – esattamente opposta – operata dall’Italia lo scorso anno. La storica compagnia di bandiera Alitalia, nome eufonico e riconoscibile che unisce le ali per volare al nome dell’Italia, con la rifondazione societaria ha cambiato anche nome. Sulle livree, ora azzurre, dei suoi aerei, ora campeggia la scritta “ITA Airways”. Una scelta che una rivista americana specializzata in immagine e marchio, ha bollato come “la peggiore del 2021“. Naturalmente anche tutte le livree speciali di ITA hanno scritte esclusivamente in inglese: “Born in 2021”, “Born to be sustainable”. Vedremo se l’imminente cambio di proprietà cambierà le cose, dato che il marchio Alitalia è comunque stato riacquistato dalla nuova compagnia. Ma per ora si vedono pochi spiragli.
La scelta italiana negli ultimi anni è quella di rendersi irriconoscibili, indistinguibili. Si pensi alla campagna di “nation branding” – così l’ha chiamata il ministro degli esteri italiano Di Maio – chiamata beIT e condotta intorno a parole chiave della cultura e del modo di vivere italiani. Ovviamente parole in inglese: love, passion, art… e a proposito di art viene facile un collegamento con la piattaforma “del patrimonio culturale italiano” chiamata ITsART. Nel frattempo la Squadra olimpica italiana era già diventata “Italia Team“.
Dietro questa illusione di internazionalizzazione c’è la scelta suicida di rinnegare se stessi, la propria lingua, la propria appartenenza all’area culturale latina e non a quella anglosassone, probabilmente figlia di un complesso d’inferiorità collettivo che dal secondo dopoguerra a oggi è cresciuto a dismisura tra gli Italiani. Un gran peccato. Ma non ci stancheremo di farlo notare, sperando che prima o poi si riesca a innescare un cambio di rotta.
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Copertina: foto da wikimedia | Fonti: Euronews EN – TravelQuotidiano
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