In punta di lingua, il festival dell’italiano e delle lingue d’Italia (Siena 5-7 aprile 2019)

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Si rinnova l’appuntamento con il Festival della lingua italiana di Siena, diretto da Massimo Arcangeli. La novità dell’edizione 2019, che si svolge dal 5 al 7 aprile, si chiama “In punta di lingua. Traduzione e creatività” e prende spunto dal problema di come tradurre le “parole mancanti”.

Davanti a una parola che non c’è, oltre a importare un forestierismo crudo (per es. boomerang), è anche possibile tentare un calco (grattacielo da skyscraper) o una traduzione (fine settimana da week end), oppure adattarla e italianizzarla (bistecca da beefsteak), e ancora creare un neologismo italiano (pomodoro invece di attingere dalla voce tomate di origine azteca). Ma oltre a queste possibilità, Arcangeli ha pensato anche un’altra via, quella di attingere dal patrimonio linguistico dei dialetti.

L’idea è nata l’anno scorso durante un incontro alla manifestazione “Più libri più liberi” (Roma, 5-9 dicembre 2018), in cui il linguista buttò lì l’ipotesi di coinvolgere i dialetti nella traduzione di parole apparentemente intraducibili provenienti dalle più diverse lingue. La traduttrice Andreina Lombardi la colse al volo e rispose immediatamente a quello stimolo proponendo la traduzione di aftselakhis (yiddish) con il napoletano cazzimma.




Oggi, questo progetto è stato ripreso e trasformato in una nuova iniziativa per il Festival della lingua italiana di Siena, ed è stato arricchito da due proposte “collaterali”:

comprendere un certo numero di anglicismi nell’elenco delle parole da tradurre attraverso traducenti dialettali, oltre che italiani;
provare a rendere nell’idioma nazionale alcune parole ed espressioni dei vari dialetti.

Per secoli i dialetti – insieme a forestierismi e neologismi – sono stati banditi dai puristi, che ammettevano solo le parole toscane basate sulla lingua di Dante, Petrarca e Boccaccio e dei classici. Ancora all’inizio del Novecento, quando l’italiano parlato era in via di unificazione, i dialetti erano visti come un segno di ignoranza, la lingua di chi non sapeva parlare l’italiano, ed erano considerati un ostacolo all’affermazione della lingua parlata, visto che l’italiano era una lingua letteraria ma fino all’avvento del sonoro (radio, cinema e poi televisione) non era un patrimonio comune di tutti.

Oggi al contrario, i diletti sono stati riscoperti, sono considerati portatori di un arricchimento culturale che non sostituiscono l’italiano, ma si aggiungono come una seconda lingua e non riguardano più soltanto i ceti bassi e poco alfabetizzati, sono un patrimonio culturale di chi vuole conservare e riscoprire le tradizioni locali. Finita l’epoca dell’italiano basato sul toscano, le parole regionali e dialettali sono oggi uno degli elementi più vivi del nuovo italiano policentrico che ha caratterizzato la seconda metà del secolo scorso. Dal siciliano sono arrivate parole come intrallazzo, picciotto o zagara, dal napoletano vongola, mozzarella, scugnizzo, spaparanzato o fesso, dal romanesco abbuffata, abbacchio, sbafo, iella, caciara o borgata, dal lombardo balera, barbone, lavello o panettone, dal piemontese fonduta, gianduia, grissino e ramazza

E allora i dialetti, al pari dell’italiano, possono essere una risorsa che ci può essere d’aiuto nella traduzione delle parole mancanti che arrivano da altre lingue. Con questo spirito, l’iniziativa” In punta di parole” ha lanciato un concorso e un gioco aperto a tutti, e cioè inventare e proporre traduzioni creative, e non solo tecniche e funzionali, per le parole che non ci sono o che circolano poco, attingendo non solo dall’italiano ma anche dai dialetti.

Il progetto è realizzato in collaborazione con l’associazione di traduttori StradeLab e con l’associazione Twitteratura e Betwyll.

Per partecipare con la propria proposta è sufficiente inviarla a questo indirizzo di posta elettronica: [email protected].

Tra le parole da reinventare ci sono questi anglicismi:

avatar
comfort food
coming out
contactless
cool
default
doodle
fake news
flat tax
location
mobbing
mood
must
(to) scroll
smart card
spoiler
stalker
startup
touchpad
.

A questo elenco si aggiungono poi parole di altra provenienza meno comuni:

Aftselakhis (sostantivo, yiddish): l’impulso o il bisogno di fare esattamente la cosa che qualcuno ci proibisce di fare, con lo scopo di farlo arrabbiare.
Fremdschäm (sostantivo, tedesco): la vergogna che si prova per qualcuno.
Fylleangst (sostantivo, norvegese): la paura di aver detto o fatto qualcosa di stupido di cui non ci si ricorda, e che ci assale il giorno dopo una tremenda sbronza.
Geborgenheit (sostantivo, tedesco): la sensazione di essere al sicuro, al calduccio, come in un nido o nel ventre materno.
Gjensynsglede (sostantivo, norvegese): la gioia di rivedere qualcuno dopo molto tempo.
Koselig (aggettivo, norvegese): si usa per descrivere un’atmosfera piacevole, rilassante, e per definire ciò che ci fa sentire bene, che è accogliente, dà calore, in qualche modo ci “coccola”.
Μάγκας (sostantivo, greco moderno): l’uomo del popolo, sicuro di sé fino all’arroganza. Si distingue dagli altri nel comportamento, nelle movenze e nell’abbigliamento. È un uomo con esperienza ed è ammirato dagli altri; è un duro ma è anche un giusto, non approfitta dei deboli e non si fa sopraffare dai prepotenti. Si usa colloquialmente anche come formula di saluto.
Nombrilisme (sostantivo, francese): l’atteggiamento egocentrico di chi pone sempre se stesso al centro dell’attenzione (letteralmente: l’atteggiamento di chi si contempla l’ombelico).
Rubberneck(er) (sostantivo, inglese): il curioso che guarda con morbosità qualcosa di sconveniente o indiscreto, spinto da un impulso irrefrenabile (il termine è diverso da “guardone”, e anche da “curioso”).
Schadenfreude (sostantivo, tedesco): la gioia maligna che si prova per la sfortuna altrui.
Sehnsucht (sostantivo, tedesco): esprime un desiderio doloroso, come la nostalgia, ma di qualcosa che non è stato e forse mai sarà. È il desiderio collegato al doloroso struggimento che si prova nel non poterne raggiungere l’oggetto. “Sehnsucht” viene da “sehnen” (‘anelare’, ‘sognare’, ‘avere voglia’) e “Sucht”, un sostantivo che indica propriamente il desiderio irrefrenabile, la smania, la sete di brama, il vizio (e quindi la dipendenza: dal cibo, dalla droga, dall’alcol). Letteralmente è un “desiderio del desiderio”.
Sisu (sostantivo, finlandese): è il particolare atteggiamento mentale, tipicamente associato al popolo finlandese, connotato da un misto di forza di volontà, coraggio, tenacia e razionalità. La parola deriva da sisus, che significa ‘intimo’ o ‘interiore’.
Sobremesa (sostantivo, spagnolo): le chiacchiere che s’imbastiscono davanti a una tavola ancora imbandita, tirando per le lunghe la fine del pranzo.
Solochvåra (verbo, svedese): è formato dalle parole “sol” (‘sole’) e “vår” (‘primavera’), e significa illudere una donna corteggiandola in modo serrato al solo fine di estorcerle del denaro.

Domenica 7 aprile, in un incontro a Siena nell’ambito della manifestazione, le soluzioni pervenute saranno commentate da Fabio Pedone, Simona Mambrini. e Antonio Zoppetti.

Lo stesso giorno partirà anche la seconda fase dell’iniziativa: la traduzione in italiano di parole ed espressioni dialettali della penisola che non hanno ancora un equivalente.

Nel mese di maggio, il progetto culminerà a Cassino e a Montecassino, con la premiazione delle migliori soluzioni nella cornice del festival “ANTICOntemporaneo”.

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