Il price cap e il tetto agli anglicismi

SOSTIENICI CON UNA PICCOLA DONAZIONE
Condividi questo articolo:

Da qualche tempo sui giornali e in tv la nuova parola d’ordine per l’abbandono dell’italiano è “price cap”, come se non si potesse dire “tetto ai prezzi” del gas, come se l’italiano non esistesse, come se il ricorso all’inglese con la sua inversione sintattica avesse qualche senso o aggiungesse qualcosa. Il riferimento al gas è spesso sottinteso, come se “price cap” fosse un tecnicismo che lo include, al contrario degli equivalenti italiani più generici. La presunta “specificità” degli anglicismi che si differenziano dall’italiano si fa strada sempre con le stesse patetiche modalità.

Le attuali frequenze di “price cap”

Se quantifichiamo questo nuovo uso i risultati sono impressionanti. Sul Corriere.it l’espressione ricorreva mediamente 3 volte all’anno, ma nel 2022 la sua frequenza restituisce più di 130 articoli. In agosto le occorrenze erano salite a 13, in settembre sono diventate 47, e nei primi 9 giorni di ottobre se ne contano ben 18 (una media di due articoli al giorno).

 

Sulle altre testate le cose non son molto diverse.

Internazionalismo o provincialismo?

I giustificazionisti dell’inglese penseranno probabilmente che si tratta di un “internazionalismo” degli economisti che ci arriva da un’Europa che parla inglese, anche se non è affatto la lingua ufficiale della Ue. Ma non è per nulla un internazionalismo, bensì un anglicismo tipico dell’italietta colonizzata. La ricerca di “price cap” su Le Monde, per esempio, restituisce solo 3 articoli in tutto l’archivio del giornale. E sui mezzi di informazione francesi e spagnoli a nessuno o quasi viene in mente di usare l’inglese al posto della propria lingua, con cui i nostri vicini hanno il vezzo di esprimersi.

 

Il nuovo picco di stereotipia giornalistico sembra destinato ad avere delle conseguenze a lungo termine sulla lingua italiana. Il problema di calmierare i prezzi del gas è appena iniziato e rischia di essere un tormentone che ci accompagnerà per molto tempo, e alla fine, se questa diventa l’unica espressione che i mezzi di informazione diffondono, anche la gente non potrà fare altro che ripeterla solo in inglese.

Come è iniziata

I picchi di stereotipia giornalistici che portano gli anglicismi arrivano a ondate legate a eventi contingenti, e quando non sono più di attualità non è vero che le parole inglesi spariscono, il più delle volte diventano solo meno frequenti, rimangono in un periodo di latenza che spesso si riattiva con un nuovo picco di stereotipia che finisce per radicare le espressioni in modo definitivo. Nel libro Diciamolo in italiano, per esempio, ho analizzato il caso di job o di compound (qui una sintesi) e anche l’attuale “price cap” costituisce un secondo picco di stereotipia, la seconda ondata che sta radicalizzando la parola.

Come si evince dai grafici di Ngram Viewer, la prima volta era arrivata all’inizio degli anni Novanta per salire di frequenza in modo rapido, raggiungere il suo primo picco nel 2003, e poi scendere progressivamente.

Cercando sugli archivi storici dei giornali si può constatare che il tetto ai prezzi espresso in inglese a quei tempi era legato alle liberalizzazioni del mercato telefonico, energetico, delle autostrade o dei treni e alle loro tariffe. E così su La Stampa (22/12/2001, numero 352, pagina 5) si leggeva: “Tremonti blocca i prezzi dei biglietti ferroviari. (…) Poi le Fs hanno dato l’annuncio comunicando che non potranno procedere a rincari sulla base dell’attuale price cap (il sistema che permette l’adeguamento delle tariffe quando si innalzano gli standard di produttività ed efficienza)”.

 

Tra gli altri articoli dedicati alle bollette dell’acqua c’erano pezzi di questo genere: “La bolletta idrica è destinata a lievitare in futuro. Perché? Colpa del «price cap», cioè di quel meccanismo che nella determinazione delle tariffe tiene conto degli investimenti effettuati dalle aziende del settore per migliorare il servizio.”
E tra quelli sulle tariffe telefoniche: “Telefoni: un tetto ai prezzi. Il price cap concerne le tariffe di Telecom Italia (apparecchi fissi) che sono le uniche tuttora stabilite in via amministrativa. Il nuovo meccanismo avvicina la completa liberalizzazione, perché la tariffa potrà variare da un minimo a un massimo.”

Risolte le vicende delle liberalizzazioni che si sono svolte nell’arco di più di un decennio, anche “price cap” è finito nel dimenticatoio, ma come si vede dal grafico di Google il primo picco di stereotipia ha introdotto l’anglicismo portandolo dalle zero occorrenze a un’alta frequenza, che quando si è abbassata ha lasciato l’espressione inglese circolare nella nostra lingua senza che scomparisse.
La fase uno introduce la parola e crea il precedente. La fase due – che si manifesta anche dopo decenni – di solito la stabilizza nell’uso.

Se i grafici di Ngram Viewer non si fermassero al 2019 oggi vedremmo una nuova impennata di “price cap”, ben più alta della prima. E la differenza più eclatante sta nella sfrontatezza dei giornali. Se a cavallo del nuovo Millennio “price cap” era diventato molto frequente, nessun giornale lo urlava nei titoli, che erano ancora espressi in italiano. Nell’archivio storico de La Stampa l’espressione inglese non compare in nessun titolo, sino ai tempi recenti, ma solo nel corpo delle notizie, dove l’anglicismo era introdotto come un “necessario” tecnicismo degli addetti ai lavori che veniva quasi ogni volta spiegato (come nell’articolo del 1999 in figura).

La radicalizzazione di “price cap”

Nell’attuale secondo picco, al contrario, “price cap” è entrato nei titoli e ha sostituito l’italiano, invece che affiancarlo. In questo modo il suo uso è passato dagli ambiti marginali e di settore al linguaggio comune.

Quando la guerra e la crisi finiranno anche le frequenze si abbasseranno, ma l’espressione rimarrà nella disponibilità e nella lingua di tutti, magari pronta a riattivarsi o a ibridarsi con altri anglicismi e altre contingenze. Se “tetto” diventa “cap”, non mi stupirei vedere nascere futuri obbrobri ibridi che lo utilizzeranno al posto dell’italiano.

Come al solito il problema non è nel “price cap” ma nell’invadenza dell’inglese che attraverso questi meccanismi sta portando migliaia di anglicismi che giorno dopo giorno impoveriscono e uccidono l’italiano. E forse sarebbe ora di mettere un “anglicism cap” alla faccenda, per usare un’espressione più consona a far capire il problema agli anglomani.


Articolo di Antonio Zoppetti originariamente pubblicato sul suo blog personale.

Copertina: foto da stockvault

SOSTIENICI CON UNA PICCOLA DONAZIONE
Condividi questo articolo: