Il passaporto vaccinale bilingue

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La nuova carta d’identità che ormai da tempo è in vigore nel nostro Paese è bilingue, in italiano e in inglese. Nel passaporto, invece, c’è anche il francese. Come mai la terza lingua nei nuovi documenti è stata cancellata? In Italia nessuno si è nemmeno mai posto il problema, ma dietro questi particolari apparentemente insignificanti emerge una ben precisa strategia, quella di imporre l’inglese come la lingua d’Europa, per cui nei documenti europei c’è la lingua locale affiancata all’inglese sovranazionale. Il plurilinguismo è cancellato, le altre lingue sono di serie B, forse destinate a diventare i dialetti di un’Europa che si dà per scontato debba parlare in inglese anche se questo viola i principi costitutivi della UE che nascono all’insegna del multilinguismo.

Anche in Francia la nuova carta d’identità è bilingue e un cittadino francese, Daniel De Poli, ha protestato con il delegato del ministero degli Interni, mostrando che in Germania il nuovo documento prevede, oltre al tedesco, anche il francese e l’inglese; e lo stesso vale per il corrispettivo documento austriaco. Gli è stato risposto che la scelta del bilinguismo era motivata dal fatto che l’inglese è lingua internazionale, il che non è un fatto, ma semmai un progetto politico che si vuole realizzare senza nemmeno chiedere ai cittadini se siano d’accordo.

Daniel si è rivolto allora all’associazione di difesa francofona AFRAV che il 20 marzo 2021 ha presentato un ricorso perché ritiene questa decisione è illecita.

Come andrà a finire lo dirà il tempo. Ma intanto la stessa logica bilingue è stata riproposta nello stesso modo surrettizio con il passaporto d’immunità davanti al covid di cui si parla in questi giorni, e che spesso in Italia viene addirittura chiamato direttamente in inglese: green pass, in una rinuncia all’italiano sempre più evidente. Ancora una volta, nel nostro Paese nessuno sembra mettere in discussione che un documento valido per l’Europa debba essere bilingue a base inglese. All’estero, invece, c’è chi è pronto a dare battaglia sulla questione, per esempio l’associazione per una Governanza Europea Multilingue (GEM+).

Ho domandato al suo presidente, l’avvocato Jean-Luc Laffineur, perché ritiene questo tema così importante.

“Si tratta di una battaglia fondamentale, – mi ha spiegato – la stesura attuale della proposta di regolamento per la creazione di questo passaporto vaccinale prevede che le autorità nazionali dovranno rilasciare i certificati vaccinali nella propria lingua e in inglese. Sembra una sciocchezza ma non lo è. Finora, la situazione prevede che quando i documenti rilasciati da autorità nazionali nella propria lingua non vengono riconosciuti in un altro Paese, devono essere obbligatoriamente tradotti nella lingua del Paese in cui un cittadino vuole avvalersi dei propri diritti.
Ipotizziamo che l’erede di un defunto in Italia, il cui testamento è stato fatto in Italia, fosse proprietario di un immobile in Francia. Per avvalersi dei suoi diritti in Francia, l’erede dovrebbe far tradurre il testamento (o meglio, il certificato successorio rilasciato da un notaio italiano) in francese. Se un domani, sulla base del precedente del passaporto vaccinale bilingue inglese, si dovesse esigere una traduzione del certificato non più in francese ma in inglese, sorgerebbero una serie di problemi da risolvere: siamo sicuri che i notai francesi sarebbero in grado di capirlo?
Si dovrebbe allora esigere che i notai europei parlino e scrivano tutti bene l’inglese? E in questo caso, perché continuare a rilasciare i certificati in italiano? Basta redigerli direttamente in inglese, no? E allora, le leggi nazionali, i codici civili dovranno prevederlo. Di conseguenza, l’inglese diventerebbe lingua ufficiale in ogni Paese. Ma allora, siamo sicuri che tutti gli italiani saranno contenti di essere in possesso di documenti notarili redatti in inglese e non più in italiano?
Questo esempio potrebbe essere esteso a ogni tipo di documento: documenti di sicurezza sociale; passaporti, carte di identità… e il caso della carta di identità italiana bilingue (italiana-inglese) costituisce già un precedente di questo tipo.
Cerchiamo di essere lungimiranti: nei Paesi in cui una lingua straniera si è progressivamente sostituita alla lingua locale, specie nel settore dell’amministrazione, si sono spesso verificate tensioni e violenze, perché i cittadini vogliono ottenere i documenti nella propria lingua, invece di riceverli in una lingua straniera. Si pensi all’esempio del Canada, in cui la minoranza francofona del Québec lotta per la propria lingua in un Paese a maggioranza anglofona. Ma si pensi anche al Camerun, dove al contrario la maggioranza francofona stentava a tradurre le leggi nazionali in inglese, provocando l’ira degli avvocati della minoranza anglofona che lamentavano di non poter lavorare su leggi redatte in inglese. Questa vicenda è stata una delle scintille che ha acceso la miccia della guerra civile in corso dal 2017, tra la maggioranza camerunense francofona e quella anglofona, e a oggi ha fatto oltre 2000 morti.”

A questo punto è più chiaro che dietro certe decisioni che per un italiano sembrano insignificanti c’è non solo un progetto politico che va contro i principi del plurilinguismo che la UE dovrebbe tutelare, ma ci sono anche precedenti che hanno conseguenze legali importanti e concrete, che non si possono trascurare e che possano avere degli impatti sociali rilevanti.

E così, Laffineur ha inviato la protesta della GEM+ a tutti i membri chiave del Parlamento europeo, così come alla rappresentanza permanente francese a Bruxelles, sottolineando che questa decisione viola i principi di proporzionalità e di sussidiarietà e suggerendo un’alternativa basata sul trilinguismo. E davanti all’indifferenza delle istituzioni che hanno ignorato le sue richieste, Laffineur si prepara a dare battaglia sul piano legale.

In Italia, invece, tutti tacciono. Eppure bisognerebbe rompere questo silenzio, e fare qualcosa in sinergia con le associazioni come la GEM+ e le altre presenti in Europa e aiutarle. Perché con il loro operato, in nome del plurilinguismo, tutelano anche l’italiano.

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