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È appena uscito il libro Lo tsunami degli anglicismi. Gli effetti collaterali della globalizzazione linguistica di Antonio Zoppetti, edito da goWare. Si tratta del terzo titolo dell’autore sull’interferenza dell’inglese sull’italiano.
Dopo aver per la prima volta divulgato i dati, tratti dai dizionari, dell’aumento delle parole inglesi nella nostra lingua negli ultimi decenni (Diciamolo in italiano, Hoepli 2017), e dopo avere raccolto gli anglicismi attualmente in circolazione affiancati dalle spiegazioni e dalle loro alternative in italiano (L’etichettario, Franco Cesati 2018 e in Rete: Dizionario AAA – Alternative Agli Anglicismi), in questo ultimo lavoro esplora i “perché” più profondi del fenomeno.
Sulla questione sono state date dagli studiosi tante spiegazioni parziali e superficiali: l’inglese avrebbe dalla sua una maggiore sinteticità, sarebbe il risultato di una certa pigrizia nel tradurre, deriverebbe dalla moda, dal fascino e dal prestigio. Ma ognuna di queste “cause” da sola non basta, e nemmeno la loro somma è sufficiente a giustificare un ricorso agli anglicismi che appare ormai come una mania compulsiva. Sotto queste motivazioni si cela il nostro complesso di inferiorità verso l’inglese, è stato osservato, ma Zoppetti scava ben più a fondo e indaga sui motivi di questo senso di inferiorità: è l’altra faccia del mito di tutto ciò che è a stelle e strisce.
In un capitolo che narra la “storia della nostra americanizzazione” l’autore ne ripercorre le tappe partendo dall’Ottocento sino ai giorni nostri, e mette in relazione i picchi degli anglicismi che decennio dopo decennio si sono stratificati nei nostri dizionari con gli eventi storico-sociali. Il mito dell’America si è fatto strada soprattutto a partire dagli anni Trenta, per trasformarsi nell’American dream degli anni Cinquanta, e poi nella visione dell’America libertaria, tra jeans, hippy e rock, che ha portato al Sessantotto. Con la caduta del muro di Berlino, la globalizzazione e l’avvento di Internet, la nostra americanizzazione si è fatta via via sempre più ampia e pervasiva. E il numero degli anglicismi che abbiamo importato è la “cartina al tornasole” di questo processo. Non è un caso che l’aumento delle parole inglesi sia diventato preoccupante e incontenibile proprio negli anni Ottanta, quando Arrigo Castellani denunciò il pericolo del “Morbus Anglicus”. Secondo Zoppetti è stata la conseguenza diretta dell’americanizzazione della tv che proprio in quegli anni si è riempita di film e telefilm d’oltreoceano, insieme alle pubblicità, in un processo trainato dalle emittenti commerciali a cui si è subito adeguato anche la Rai, ponendo fine all’era di Carosello e all’approccio pedagogico che l’aveva caratterizzata.
Il mito di un’America immaginaria, più che reale, che ha preso piede in modo sempre più largo, è per l’autore il risultato di due pressioni fortissime. Quella tutta interna al nostro Paese, che sin dai tempi del fascismo vedeva negli Stati Uniti la patria delle libertà, e quella esplicitamente sollecitata dall’esterno attraverso il potere morbido del cinema, il piano Marshall e la sua gigantesca propaganda, e poi l’inserimento del nostro Paese nella sfera politica e culturale di Washington. Se fino agli anni Novanta prevaleva tuttavia un atteggiamento critico che accettava certi aspetti e ne respingeva altri, in un dibattito a volte conflittuale tra americanisti e antiamericanisti, dopo la globalizzazione e il “siamo tutti americani” con cui si è aperto il nuovo Millennio c’è stata la dissoluzione di ogni resistenza e una compiaciuta accettazione dei modelli d’oltreoceano sotto tutti i punti di vista, in un’americanizzazione politica, sociale e culturale che ci ha ormai inglobati.
Il fenomeno degli anglicismi e dell’”itanglese” viene dunque letto in questa prospettiva che esce dalla semplice linguistica. Il libro si configura come un’opera di sociologia della lingua che ne mette in risalto le connessioni storiche e sociali. L’esplosione degli inglesismi è interpretata come un “effetto collaterale” della globalizzazione e del disegno di fare dell’inglese la lingua planetaria. In gioco ci sono degli interessi titanici, perché rendere la lingua naturale dei Paesi anglofoni la lingua del pianeta non rappresenta solo un giro d’affari incalcolabile, ma è soprattutto strategico sul piano del prestigio e del controllo dei flussi dell’informazione e dell’intrattenimento, oltre che dei mercati. Questo processo che punta al monolinguismo a base inglese, invece che al plurilinguismo, non solo non ci conviene, ma comporta conseguenze devastanti. In gioco c’è l’estinzione di molte lingue minori, la dialettizzazione delle lingue nazionali, e dietro l’inglese che si vuol proclamare come la lingua della scienza, del lavoro, dell’Europa o della formazione universitaria ci sono soprattutto questioni economiche e politiche funzionali ai Paesi dominanti.
Sulla globalizzazione economica, e anche culturale, c’è una vastissima letteratura. Ma su quella linguistica è stato scritto pochissimo. Zoppetti si immerge in questo terreno poco esplorato e mostra che, mentre gli estimatori della globalizzazione negano che coincida con l’americanizzazione e la presentano come un processo “universale” o “ineluttabile”, affrontare la questione dal punto di vista linguistico aiuta a comprendere che non è affatto così. L’anglicizzazione del pianeta, e lo “tsunami anglicus” che intacca ogni idioma e ne è la conseguenza diretta non sono altro che la prosecuzione delle logiche che un tempo erano stigmatizzate attraverso le etichette di “imperialismo” e prima ancora si chiamavano “colonialismo”. Attraverso la costruzione concettuale di un “Occidente” – un luogo che non c’è, a pensarci bene – che coincide sempre più con gli Stati Uniti c’è semplicemente la prosecuzione con altre forme di un atteggiamento colonialistico che oggi si persegue attraverso il potere morbido dei modelli a stelle e strisce e dell’espansione delle multinazionali alla conquista del mondo con le nuove strategie in grado di “colonizzare” culturalmente saltando la fase delle invasioni militari.
Solo dopo avere ricostruito questa storia Zoppetti chiude il cerchio e ritorna finalmente alla questione degli anglicismi, che assume così tutt’altra valenza. Mostra che la dimensione del fenomeno non è più interpretabile con gli schemi del “prestito” in voga tra i linguisti. Le parole e i suoni inglesi sono per lui dei “trapianti”, e sono un fenomeno mondiale, che in Italia raggiunge l’apoteosi perché viene a mancare ogni tipo di resistenza presente invece all’estero, dove esistono istituzioni e politiche linguistiche che noi non abbiamo. Al contrario, la nostra intera classe dirigente è schierata dalla parte dell’inglese e degli anglicismi, e il risultato di questa mancanza di argini porta all’anglicizzazione non solo del nostro lessico, ma a uno stravolgimento ben più grave e profondo: coinvolge le categorie concettuali espresse in inglese, che riguardano il nostro modo di pensare, prima che di parlare.
L’interferenza dell’inglese non ha eguali nella storia dell’interferenza delle altre lingue sulla nostra, per numeri, per profondità e per velocità. Ci sono ormai centinaia e centinaia di parole ibride (zoomare, chattare, fashionista, clowneria, scoutismo…) che non sono più né italiane né inglesi, e questo fenomeno non si riscontra nel caso dei francesismi, degli ispanismi o dei germanismi. Mentre si moltiplicano le locuzioni ibride (libro-game, zanzare killer, acquascooter, luna park…), gli anglicismi producono un effetto domino e si ricombinano tra loro a scapito dell’italiano che si creolizza: baby sitter agevola l’introduzione di analoghe espressioni come cat sitter, dog sitter o pet sitter, ma a sua volta pet si porta con sé il pet food o i pet shop, che a loro volta trasformano il cibo in food e i negozi e punti vendita in shop, store e outlet in una rete sempre più fitta di anglicismi tra loro interconnessi che si allarga nel nostro lessico. E mentre dilagano i “prestiti sintattici” che invertono la struttura dell’italiano (social media manager e non responsabile della comunicazione digitale, covid hospital e non ospedali covid) stiamo assistendo a una trasformazione delle regole morfologiche dell’italiano (blogger invece di bloggatori, over 80 invece di ultraottantenni, cybersicurezza invece di cibersicurezza…). Si cominciano così a intravedere in modo significativo le prime enunciazioni mistilingue che alternato pezzi di inglese sempre più complessi (one moment, too much, of course, number one, why not?, very good, oh my God!, last but not least, the best, real time…), e fanno la comparsa persino i primi verbi in inglese (save the date, remember, don’t worry¸ stop, relax…).
La conclusione è un invito a riflettere su dove stiamo andando, perché davanti all’anglicizzazione dovremmo smetterla di pensare alla guerra ai barbarismi di epoca fascista e guardare invece a ciò che avviene in Francia, Spagna, Svizzera, Islanda… La nuova questione della lingua si trasforma nella questione delle lingue di tutto il pianeta e riguarda il plurilinguismo inteso come valore e ricchezza. Non ha più a che fare nemmeno con il purismo ma è una questione di ecologia linguistica, perché il globalese entra a in conflitto con le lingue locali e frantuma gli ecosistemi linguistici. Occorre dunque un cambio di paradigma per promuovere e rilanciare l’italiano che mentre noi abbandoniamo per sfoggiare l’inglese, all’estero gode invece di una nomea e di un’ammirazione che poche lingue possono vantare. Il nostro patrimonio linguistico dovrebbe allora essere tutelato, come si fa con quello artistico, paesaggistico o gastronomico, perché è una risorsa non solo culturale, ma anche economica che stiamo mandando in malora sedotti dal mito di tutto ciò che è a stelle strisce, che ci sta fagocitando e non ci conviene affatto. Il rischio è quello di fare la fine degli Etruschi, che si sono sottomessi alla romanità da soli, senza guerre di conquista, fino a esserne inglobati e scomparire.
Lo tsunami degli anglicismi,
Gli effetti collaterali della globalizzazione linguistica
Autore Antonio Zoppetti
Editore goWare
Pagine 252
Prezzo ebook 9,9 € | cartaceo 18 €
In commercio dal: 20 aprile 2023
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