L’Università di Palermo smentisce le accuse degli italianisti di Bengasi

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Poche settimane fa un articolo del Corriere della Sera aveva dato voce ad alcuni esponenti del dipartimento di italianistica di Bengasi, in Libia, che esprimevano una protesta. La protesta di essere stati abbandonati dall’Italia, di cui amano la lingua e la cultura, proprio nel momento in cui li scontri tra il generale Haftar di Bengasi e la presidenza di Tripoli, appoggiata politicamente dall’Italia, li mette in una situazione di difficoltà.

E non basta: l’Università di Palermo, che nel 2006 seguì da vicino la nascita del dipartimento di italianistica della città libica, veniva accusata di non aver dato il supporto che sarebbe ad essa spettato. «Questo Dipartimento venne aperto attorno al 2006, al tempo dei negoziati tra Gheddafi e Berlusconi per il trattato di amicizia italo-libico. Fu associato all’università di Palermo, che però ci mandò più che altro libri in dialetto siciliano e sulla storia del movimento separatista dell’isola dal resto della penisola. Volumi come “La sicilianità nel sangue”, oppure la biografia del Salvatore Turiddu, l’esaltazione del banditismo contro il governo centrale. Non disponiamo neppure di una grammatica italiana o di un vocabolario arabo-italiano», ricorda Mohammed Saadi, 33enne direttore dell’Istituto.



Dobbiamo però rendere conto, grazie alla segnalazione del linguista siciliano Roberto Sottile, della secca smentita giunta poco dopo direttamente dall’ateneo siciliano, per mezzo delle reti sociali. Scrive al Corriere Giovanni Ruffino, accademico della Crusca, già ordinario di “Linguistica italiana” e Benemerito dell’Ateneo di Palermo:

Egregio Direttore,
mi preme fare alcune necessarie precisazioni riguardanti il servizio di Lorenzo Cremonesi dal titolo “Libia: «Noi, studenti di italiano di Bengasi dimenticati, amiamo la vostra lingua»”, del 04/05/2019, apparso nelle versione a stampa del giornale e nel video “Corriere TV / Dal mondo”.
Mi chiamo Giovanni Ruffino. Ero Preside della Facoltà di Lettere dell’Università di Palermo negli anni – a partire dall’anno 2005 – in cui fu istituito nella Università Garyounis di Bengasi il Dipartimento di Lingua italiana. L’iniziativa maturò grazie ai rapporti che valorosi docenti libici intrattenevano con la mia Facoltà, e segnatamente con il prof. Antonino Pellitteri, titolare della cattedra di Storia dei paesi islamici. Io, docente di Linguistica italiana, mi impegnai con convinzione nella mia qualità di Preside della Facoltà di Lettere, nell’avviare e consolidare questo fecondo rapporto. Io stesso diressi nei primi anni il Dipartimento di italianistica a Bengasi (dove frequentemente mi recavo), prima che la direzione fosse affidata a un giovane docente della mia Facoltà, il prof. Federico Salvaggio. Oltre tutto, l’inizio di quella non dimenticata esperienza, che produsse anche un gruppo di laureati in italianistica, fu segnato dalla sommossa esplosa a Bengasi dopo una grossolana provocazione antiislamica, esibita in televisione dal deputato leghista Calderoli.
Tale circostanza accresce il fastidio per quanto nel citato servizio si insinua da parte di tal Mohammed Saadi, cioè che l’iniziativa dell’Università di Palermo sarebbe stata concepita nell’ambito dei rapporti tra Gheddafi e Berlusconi. Figuriamoci! I docenti di Linguistica italiana – Vito Matranga, Giuseppe Paternostro, Roberto Sottile e altri – trascorsero anni impegnativi in Cirenaica unicamente perché credevano nell’importanza di quella loro missione. L’esperienza si concluse nel 2011 a causa dello scoppio della guerra civile in Libia.
E andiamo all’altra grave falsità: la Biblioteca. Il sopradetto Mohammed Saadi mente quando afferma che «l’Università di Palermo ci mandò più che altro libri in dialetto siciliano e sulla storia del movimento separatista dell’isola dal resto della penisola». La verità è assai diversa. All’Università Garyounis di Bengasi furono inviati volumi in varie riprese. Un complesso di opere ricco e vario, che conferirono alla Biblioteca di italianistica un pregio notevolissimo: grammatiche, vocabolari, dizionari etimologici, storie linguistiche, saggi sul rapporto tra arabo e italiano, saggi importanti sull’italiano contemporaneo, persino il Dizionario Bompiani degli Autori e il Grande Dizionario della Lingua Italiana in 22 volumi, editi di UTET. Furono anche donate opere letterarie (Leopardi, Ariosto, Boccaccio, Bufalino, Sciascia, Alvaro, Parise, Montale, Buzzati, Morante, Ginzburg, De Roberto, Moravia, Pirandello, Calvino, Eco, Levi, Vittorini, Verga ecc.). Fu donata anche la grande Biblioteca arabo-sicula di Michele Amari e il Vocabolario siciliano-italiano del Centro di studi filologici e linguistici siciliani, dono che nelle dichiarazioni dell’incauto intervistato, costituirebbe quasi un’offesa … Pur tuttavia, a scanso di equivoci, allego l’elenco delle opere spedite a Bengasi il 28.02.2008 dalla Libreria Flaccovio di Palermo per conto dell’Università (per un totale di € 13.866,30). Altre spedizioni furono fatte successivamente; altre ancora periodicamente per fornire gratuitamente a tutti gli studenti i materiali didattici consistenti nei più aggiornati manuali di italiano per stranieri, corredati di supporti audio per i laboratori di lingua italiana.
Credo possa bastare. Palermo e la sua Università esigono che venga ristabilita la verità dei fatti, anche per il rispetto che si deve a quanti profusero tutto il loro impegno in quegli anni non facili. E con l’augurio che l’appello degli studenti di Bengasi possa essere presto esaudito.
La prego, Egregio Direttore, di dare notizia di questa mia puntuale rettifica.

Giovanni Ruffino

 

A corredo del post su Facebook, i resoconti dei volumi inviati in Libia, con tanto di codice e prezzo. Li riportiamo qui di seguito.

Perché allora persone dell’Università di Bengasi avrebbero dovuto dichiarare il falso? Difficile dirlo, ma tra i commentatori c’è chi vede nella difficilissima situazione politica attuale del Paese nordafricano lo scenario più plausibile. La Sicilia è stata teatro, lo scorso novembre, della Conferenza Italia-Libia che sancì il riconoscimento del governo centrale di Al-Serraj da parte di Roma, e l’intervista rilasciata quotidiano italiano arrivò nei giorni di dura battaglia della Cirenaica per giungere al cuore del potere, a Tripoli. L’Italia, ex potenza coloniale, è ancora oggi in una posizione di forte influenza nei confronti del Paese, e qualsiasi polemica potrebbe essere strumentale al condizionamento delle decisioni del governo italiano.

Tutte supposizione. Ciò che è certo è la sofferenza del popolo libico, che speriamo possa presto avere pace, e l’auspicio che la lingua italiana torni presto amata e conosciuta in tutta la Libia.

 

 

 


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