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“Spesso ci dicono che la lingua italiana è vieppiù amata, praticata e richiesta. È vero. Ultimamente il Presidente Tajani ha chiesto che si facesse un bilaterale con il mio omologo saudita che, quando si è parlato di collaborazioni tra realtà universitarie, ha detto: noi però vorremmo che i nostri studenti non frequentassero dei corsi in lingua inglese ma in lingua italiana. E vorremmo cominciare ad avviarli allo studio della lingua italiana in loco, da noi, per poi mandarveli”.
Queste le parole pronunciate oggi dalla ministra italiana dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, agli Stati generali della Diplomazia Culturale a Palazzo Vecchio a Firenze. Naturalmente cercheremo nei prossimi giorni di ottenere maggiori dettagli in merito.
E Bernini ha proseguito, specificando che “questo è solo un esempio, potrei fare tanti altri esempi di come questa nostra profonda tradizione sia vista non soltanto come una radice ma come un albero immenso che si proietta verso il futuro”.
Ci fa piacere che la ministra Bernini riconosca nell’italiano un punto di forza e di attrattiva verso talenti stranieri. Ci chiediamo però come la nostra lingua possa rappresentare il futuro, quando le nostre università stanno progressivamente eliminando i corsi in italiano dalle proprie aule. Ecco una schermata presa poche ore fa dal sito del Politecnico di Milano, prestigiosa università pubblica italiana:
Ci sono 3 corsi magistrali solo in italiano, 9 in doppia lingua e i restanti solo ed esclusivamente in inglese. Quei corsi non esistono in italiano, neanche per gli studenti italiani. L’ateneo milanese lottò dal 2012 al 2017, perdendo in ogni sede di giudizio, per poter eliminare totalmente l’italiano dai propri corsi, infischiandosene delle sentenze, salvo poi accorgersi che l’italiano serviva a qualcosa. Del resto l’Italia negli ultimi anni sembra aver attuato una vera e propria politica contro la nostra lingua.
Non si tratta di un’eccezione rispetto alle altre università italiane, private ma soprattutto pubbliche, finanziate dal denaro dei cittadini. Invece è un’eccezione rispetto alle università spagnole e francesi, che non raggiungono questi livelli di anglicizzazione. Il Politecnico di Torino ha presentato da poco la prima laurea in Italia di Ingegneria quantistica. Evento salutato dalla stampa come la soluzione per evitare ai nostri studenti di dover frequentare questo corso all’estero. Peccato che il corso sia disponibile solo in inglese. Possono non andare all’estero ma sono costretto o costretta a frequentare, studiare, fare domande, ottenere risposte solo in una lingua straniera.
Ci chiediamo quali corsi in italiano potranno mai frequentare i giovani sauditi, a meno che non se ne istituiscano di appositi.
La doppia laurea – o dual degreeing, per usare l’espressione della ministra Bernini – è una grande opportunità per il nostro Paese e per la lingua italiana. A quanto pare l’ha capito l’Arabia Saudita. Ora non ci resta che sperare che lo capisca anche l’Italia.
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