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In linguistica si definisce “panorama linguistico” l’insieme di tutte le occorrenze di lingue (e di linguaggi in senso più ampio) che connotano la comunicazione scritta pubblica, specialmente nello spazio urbano. Osservarlo permette di farsi un’idea, a colpo d’occhio, della lingua – o delle lingue – del luogo, dei rapporti gerarchici e di forza tra di esse, gli esiti di eventuali politiche linguistiche in atto sul territorio, e molto altro ancora.
Il panorama linguistico di molte città italiane, come da tempo noi di Italofonia (e non solo) riportiamo, è ormai caratterizzato da una presenza massiccia dell’inglese. In questi giorni di festività natalizie la città di Milano è invasa da scritte di auguri e altri messaggi legati più o meno al Natale, per la maggior parte in lingua inglese. La scritta XMAS fa capolino ovunque, suscitando a volte incidenti politici e polemiche inaspettate, mentre l’uso dell’inglese nel capoluogo lombardo ci ricorda che ci troviamo nella capitale dell’itanglese. Alberi, piste di pattinaggio e altre installazioni sono finanziate da aziende che dell’inglese (o pseudo tale) ormai non riescono più a fare a meno. Sulle vetrine dei negozi si trovano più Merry Christmas che Buone Feste e tra poco sarà lo stesso con le Season Sales a scapito dei vecchi Saldi di stagione.
Insomma, i rapporti di forza linguistici suggeriti da un simile panorama sono piuttosto evidenti.
Del panorama linguistico fanno parte però anche insegne, pannelli e cartelli stradali, comunicazione stabile e “di servizio”. Se trovare la presenza dell’inglese nel Pronto Soccorso di un ospedale (spesso accanto a lingue di immigrazione come arabo, spagnolo o rumeno) ha senso, risulta più difficile capire come mai nella cittadina di Cernusco sul Naviglio, provincia di Milano, nessuna vocazione turistica, gli avvisi bilingui si trovino affissi in un anonimo condominio per segnalare di non usare l’ascensore in caso di incendio. O perché, nello stesso paese, esista un parco giochi per bambini dove tutti gli avvisi (anche quelli di sicurezza) siano scritti solo in inglese.
La realtà è che lo stato italiano ha intrapreso una non dichiarata quanto decisa battaglia contro la propria lingua e in favore dell’inglese, e il panorama linguistico rispecchia perfettamente questa realtà. Persino alcuni piccoli porti commerciali pugliesi hanno acquisito di recente una nuova denominazione esclusivamente in inglese, per volere dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale. Ecco allora il Port of Manfredonia, il Port of Monopoli e il Port of Barletta.
Un viaggiatore che arrivi in Italia in aereo, lo farà sempre più spesso non in un aeroporto internazionale ma in un international airport. Questo è vero non solo nella capitale Roma, ma anche nello scalo di Orio al Serio, Bergamo, che porta ormai la dicitura di “Il Caravaggio International Airport”.
L’impatto di un simile panorama è enorme. Se in Val di Fassa, Trentino, dove chiunque è madrelingua italiano, ci sono cartelli in ladino per dare visibilità pubblica e dignità a questo storico idioma del territorio, negli aeroporti italiani il biglietto da visita è tutt’altro. A prima vista non ci si trova in un Paese di lingua neolatina, romanza, non ci si trova in una città di lingua italiana, ma in un luogo dove la comunicazione ufficiale dominante appare in inglese. Motivo? Sempre il solito: “l’inglese è la lingua internazionale”. Vero? Beh, se da un lato è innegabile il ruolo dell’inglese come principale lingua franca del mondo di oggi (non senza dei “contro”), dall’altro non sta scritto da nessuna parte che questo voglia dire infilarlo ovunque, né tantomeno fare in modo che esso soppianti le lingue locali.
Proprio per evitare questo, molti Paesi adottano delle politiche linguistiche. No, non l’Italia fascista di cent’anni fa, ma nazioni democratiche dei giorni nostri come la Svizzera, la Spagna o la Francia.
Lo scopo di queste leggi, come la nota Legge Toubon del 1994, non è combattere la lingua inglese o eliminarne ogni parola dalle lingue locali, vietandone l’uso. Lo scopo è mantenere un equilibrio e permettere alla lingua nazionale, in questo caso il francese, di restare vitale e mantenere un suo spazio, salvaguardando così un plurilinguismo.
E la legge funziona. Ennesima riprova è una sentenza di pochi giorni fa, che riguarda proprio un aeroporto.
Tutto ha avuto inizio nel 2015, quando l’aeroporto di Metz-Nancy-Lorraine (la cui denominazione ufficiale francese era “aeroport de Metz-Nancy-Lorraine”) ha deciso di anglicizzare quel nome trasformandolo in “Lorraine Airport”, che oltre all’anglicismo ha introdotto anche l’inversione sintattica tipica dell’inglese. La motivazione era anche lì quella di una “internazionalizzazione”. Naturalmente, come ricorda anche Antonio Zoppetti in un suo articolo sull’argomento, far coincidere “internazionale” e “inglese” è una voluta confusione che deriva da un progetto e da una visione politica che punta ad affermare e a imporre a tutti la lingua naturale dei popoli dominanti. In Italia siamo in prima linea nel sostenere e nel diffondere questa visione che fa dell’inglese una lingua superiore, ma in Francia le cose vanno diversamente, e davanti al cambio di nome dell’aeroporto sono divampate da subito le polemiche.
E così, l’associazione per la difesa della lingua Francophonie Avenir, dopo aver chiesto invano alla struttura di rinunciare all’inglese, ha intrapreso la via giudiziaria, visto che in Francia, appunto, esistono delle ottime leggi a tutela della lingua. E dopo otto anni di battaglie, finalmente il 14 dicembre scorso è arrivata la sentenza che ha sancito la vittoria dell’Associazione: l’aeroporto è stato condannato a ripristinare il vecchio nome francofono e a riutilizzarlo nella denominazione ufficiale, su tutti i documenti, i cartelli e la segnaletica, la pubblicità, la documentazione cartacea e virtuale. Inoltre dovrà pagare le spese processuali, un risarcimento nei confronti dell’associazione e una multa simbolica di un euro per aver violato le leggi francesi (per chi è interessato, ecco il collegamento alla sintesi della vicenda dell’A.FRA.AV e il verbale della sentenza).
Pare che lo scalo aeroportuale abbia intentato un ricorso alla sentenza, vedremo con quale esito, ma già il fatto che una condanna nel primo grado di giudizio sia arrivata, significa che in Francia l’attenzione alla propria lingua e al suo ruolo pubblico è alta. Questo significa che la Francia è un Paese chiuso e retrogrado? No, è un Paese vivacemente democratico, importante geopoliticamente sullo scacchiere europeo e mondiale, ed economicamente avanzato, la sesta economia mondiale con grandi gruppi multinazionali. Senza bandire l’inglese ma al tempo stesso senza bandire o limitare la propria lingua, che viene invece tutelata e promossa internamente e all’estero.
In Italia non c’è alcun dibattito serio sul tema di una politica linguistica per l’italiano. Solo bandierine messe da partiti o singoli esponenti. E solo prese di posizioni ideologiche per colpire l’avversario, più perché davvero si è convinti di quel che si dice. Ultimo triste esempio il discorsetto di Maria Elena Boschi contro la scelta del governo – pur da noi criticata – di denominare un ministero “delle imprese e del made in italy”. O meglio, non contro la scelta in sé, ma contro il governo, prendendo a pretesto questa scelta. D’altro canto, difficile criticare l’abuso dell’inglese nel linguaggio istituzionale da parte di chi ha creato Family Act, Jobs Act e altre simili amenità. Simile l’atteggiamento dell’on. Cappelletti del Movimento 5 Stelle. Ciò che conta è attaccare l’avversario, nel caso di critica, o strumentalizzare il tema, nel caso di chi propone, ma l’impressione è che il tema della lingua non interessi a nessun politico. Perché nessuno pare comprenderne l’enorme portata.
Speriamo che questo 2024 sia davvero l’anno buono per un cambio di mentalità anche in Italia. Buon anno nuovo a tutti noi… e alla nostra lingua!
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Un pensiero su “Francia: l’aeroporto che aveva adottato un nome in inglese dovrà tornare al francese”
La colpa non è solo dei politici, ma di tutti gli italini, intellettuali e giornalisti in prima fila. Anni fa avevo un sito per cercare di combattere questo problema. Invitai i lettori a protestare, scrivendo a politici e giornali, dicendo che non avrebbero votato per loro ne comprato i giornali se continuavano ad usare parole inglesi e convincere amici a fare la stessa cosa. Tutto inutile; ricevetti complimenti ma nessuno fece niente. Vivo in USA dal 1958, è triste vedere questo, ma la colpa è degli Italiani. Niente cambierà se gli italiani stanno zitti! Anche voi dovreste invitare gli italiani a protestare continuamente, ma vedo che non lo fate ed il vostro articolo non servirà a niente, purtroppo!
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