Scuola italiana: per conoscere le altre culture e la tecnologia serve l’inglese

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Dopo la pubblicazione da parte del Ministero dell’Istruzione e del Merito delle nuove Indicazioni Nazionali per la scuola primaria e del primo ciclo, in Italia si è scatenato il dibattito, con annesse polemiche. Tra i punti più discussi c’è l’introduzione dello studio del latino facoltativo fin dalle scuole medie (secondaria di primo grado), verso cui l’accusa più frequente è quella di una “motivazione ideologica” legata alla provenienza politica dell’attuale governo.

Poco si parla però, di un’altra lingua che all’interno del documento ha un peso enorme. No, non parliamo dell’italiano, che pure – ovviamente – è presente, ma dell’inglese (pag. 53 e seguenti). Non tanto dal punto di vista quantitativo ma qualitativo.

La percezione di questa lingua da parte dello stato italiano, espressa in un documento ufficiale che fa da guida all’operatività degli istituti scolastici nell’insegnamento delle materie, fa un salto di qualità. La lingua inglese viene infatti riconosciuta non solo come strumento di comunicazione pratica, ma come vera e propria chiave di accesso al mondo globale. Vediamo più in dettaglio cosa significa.

 

La lingua del mondo

Il documento sottolinea come “studiare l’inglese oggi significa comunicare con il mondo” e rappresenti uno “strumento di scambio linguistico e culturale che offre possibilità uniche di comprensione reciproca e di potenziale cooperazione internazionale”.

Questo è il solito luogo comune dell’inglese “lingua del mondo” che spesso ritorna nei discorsi di politici (e non) dello Stivale. Ma si tratta, appunto, di un luogo comune.

Naturalmente non si può mettere in dubbio che oggi l’inglese sia la lingua internazionale più studiata e più utilizzata. Ma semplificare all’eccesso non è mai una buona idea. Dai rapporti annuali di EF emerge come l’inglese, lingua madre di 500 milioni di persone (solo il 5% dell’umanità) sia oggi conosciuto come lingua straniera da oltre un miliardo di persone. Moltissime, ma comunque solo il 12% degli 8 miliardi di individui che abitano il pianeta. La maggioranza di queste persone, inoltre, ha una conoscenza povera o basilare dell’inglese, adatta a chiedere indicazioni durante un viaggio per turismo ma non a comunicare concetti complessi né a comprenderli chiaramente.

Basta viaggiare in Sudamerica, nell’Africa francofona, o anche tra la gente comune in Paesi molto sviluppati come la Cina, la Corea del Sud o il Giappone, per rendersi conto di come l’inglese lo conoscano in pochissimi, e spesso male. Dunque esso è ben lontano dal poter essere considerato “la lingua del mondo” e riteniamo grave il fatto che il Ministero indichi il solo inglese, e non il plurilinguismo o l’apertura al multilinguismo come chiave di conoscenza delle diversità culturali che sono la ricchezza dell’umanità.

Un elemento particolarmente significativo delle Nuove Indicazioni riguarda infatti la dimensione interculturale dell’insegnamento dell’inglese. Il documento sottolinea l’importanza di sensibilizzare gli studenti all’interculturalità e alla comprensione reciproca tra i popoli, concetto importantissimo e positivo, ma lo fa passando l’idea che per farlo basti l’inglese.

 

Notizie internazionali = in inglese

Secondo le Indicazioni del Ministero, l’inglese, essendo una lingua di comunicazione globale, rappresenta uno strumento essenziale per interagire con il mondo e accedere a informazioni di carattere internazionale.

Purtroppo i primi a credere a questa idiozia sembrano essere i giornalisti italiani, che spesso utilizzano esclusivamente, o quasi, testate in lingua inglese per riportare commenti o notizie dall’estero. Naturalmente esistono giornali e siti in inglese in molti Paesi non anglofoni, ma solitamente le fonti utilizzate sono grandi portali di quotidiani e TV statunitensi, che riportano dunque le notizie attraverso i loro filtri. In Italia non si conosce quasi nulla di ciò che avviene in Europa (elezioni o catastrofi a parte), o almeno non con notizie di prima mano. Figuriamoci nel mondo. Eppure spesso esistono addirittura testate in lingua italiana realizzate da italofoni che vivono in quei Paesi, e il nostro aggregatore “Dal Mondo in italiano” ne contiene un’interessante raccolta.

 

La tecnologia parla solo inglese

L’inglese viene presentato nel documento come strumento fondamentale per l’alfabetizzazione tecnologico-digitale e per la comprensione critica delle informazioni acquisite quotidianamente, in particolare attraverso le reti sociali.

Anche qui traspare l’idea che l’inglese sia l’unico strumento possibile per apprendere (o parlare di) tecnologia. Se l’inglese è necessario ad alcuni professionisti per collaborare (ma forse sempre meno grazie a traduttori automatici e IA?), ciò non significa che le altre lingue non siano adatte ad esprimere questi ambiti. Quella di lasciare atrofizzare l’italiano escludendolo da ambiti chiave della conoscenza, come quello universitario e professionale, è una scelta politica scellerata portata avanti in Italia dai governi di ogni colore.

La Francia, che ha una legge che tutela il diritto dei cittadini all’uso del francese e garantisce l’arricchimento linguistico del francese per adeguarlo al mondo che cambia, è tra i Paesi europei che più investono in tecnologia, e lo si è visto di recente col suo modello di intelligenza artificiale Mistral.

 

Inglese inclusivo?

Le Indicazioni promuovono inoltre l’inclusività attraverso l’utilizzo di materiali audiovisivi con sottotitoli e audiodescrizioni in lingua inglese, che aiutano gli studenti a sviluppare competenze di ascolto e comprensione, garantendo che l’apprendimento sia accessibile a tutti.

Anche in questo caso, pare che l’inglese sia l’unico strumento per rendere un contenuto accessibile a tutti. Si dice anche che i corsi universitari in inglese sono più “inclusivi” perché comprensibili a “tutti”. Poi si scopre che ampie fette di studenti universitari europei di lingua romanza e internazionali (America Latina, Africa francofona…) rinunciano agli studi in Italia perché i corsi in italiano, lingua per loro più accessibile (perché simile alla loro madrelingua) non esistono più.

 

Spiace che un governo che a parole dichiarava al suo insediamento di voler fare leggi a favore dell’italiano, di volerlo inserire in costituzione, di valorizzarlo in Italia e all’estero, poi lo declassi di fatto a lingua “bassa”, inadatta ad attrarre ed includere persone provenienti da altri Paesi e culture o a parlare di scienza e tecnologia, presente e futuro di questo nostro mondo. Spiace che in un momento in cui si vuole unire l’Europa politicamente in modo più stretto, per far fronte alle nuove sfide geopolitiche e di sicurezza, la seconda lingua comunitaria – descritta giustamente nel documento come strumento di apertura culturale e conoscenza reciproca – nei fatti sia vissuta come obbligo senza reale motivazione. Del resto, se in un paragrafo scrivi che l’inglese è la lingua del mondo, non sei molto credibile quando qualche pagina più in là dici che per conoscere il mondo servono più lingue.

 

Ciò che è certo è che la lingua, oggi come sempre, resta un tema centrale e dobbiamo continuare a riflettere e discutere sulla centralità della lingua madre e dei suoi rapporti in un mondo in rapida evoluzione, dove l’inglese globale convive con lingue sempre più importanti a livello regionale (cinese, spagnolo, francese, hindi e altre ancora) e con modelli di intelligenza artificiale che abbattono le barriere linguistiche ma al tempo stesso subiscono i pregiudizi e i filtri della lingua nella quale sono stati addestrati. La questione della lingua torna ancora, e come comunità parlante non possiamo ignorarla.

 

Immagine di copertina generata con IA Microsoft Designer

 

 

 


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