Nome poco chiaro, Amazon Warehouse diventa Seconda mano

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La lingua la fanno i parlanti. A volte in qualità di consumatori. Questo è quanto sembra essere accaduto con Amazon Warehouse, il servizio del noto sito di commercio elettronico che permette di ottenere prodotti resi di qualità a prezzi scontati. La società di Seattle ha annunciato che Amazon Warehouse da ora in poi sarà noto in Italia come “Amazon Seconda Mano”.

A quanto pare la motivazione del cambio è la scarsa chiarezza del nome precedente, segnalata dai clienti stessi. Lo si apprende dal testo del messaggio ricevuto dagli abbonati al servizio:

“ […] Abbiamo però notato che il nostro nome non era molto chiaro. Diamo ascolto ai nostri clienti, e vogliamo offrire la migliore esperienza possibile a chi acquista nel nostro negozio. Per questo, siamo lieti di annunciare che da ora in poi Amazon Warehouse cambierà nome e diventerà Amazon Seconda mano”.

Una notizia semplice ma molto significativa. Da un lato vuol dire che un numero importante di clienti di lingua italiana trovava fuorviante o poco chiaro un nome in inglese, e dall’altro lato che questa opinione ha avuto un peso e un risultato concreto. Tra l’altro l’azienda ha scelto, a scanso di equivoci, la dicitura “seconda mano”, e non l’inglese “second hand” che sempre più spesso viene usato nelle comunicazioni italiani di servizi simili, forse per edulcorare la pillola. Usare l’italiano si può e non va contro il pensiero dei propri clienti, anzi…

Noi crediamo da sempre nel ruolo chiave che i parlanti possono avere verso le istituzioni, i giornali e le aziende private, oggi principali diffusori di anglicismi in italiano, e lo sosteniamo con le iniziative del nostro collettivo Attivisti dell’italiano, a cui puoi aderire gratuitamente in pochi minuti.

Questo caso di Amazon resta isolato o quasi, sono poche le aziende che scelgono di passare dall’inglese all’italiano (ricordiamo qualche anno fa il passaggio da Netflix Kids a Netflix Bambini), ma l’azienda in questione è un gigante del proprio settore, e chissà che la decisione non spinga concorrenti e altre aziende a indagare se per caso un po’ di italiano in più non gioverebbe ai proprio affari nel Bel Paese.

 


In copertina immagine di Võ Hoài Duy da Pixabay


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