Lettera aperta a Mario Draghi

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Gentile presidente del Consiglio Mario Draghi,

le scrivo come primo firmatario di una legge per l’italiano minacciato dall’abuso dell’inglese che è appoggiata, per il momento, da oltre 800 cittadini. Sono consapevole che difficilmente leggerà le mie parole, ma vorrei sottoporle la mia risposta alla sua domanda:“Chissà perché dobbiamo usare sempre tutte queste parole inglesi?”.
Credo che il perché stia in un senso di inferiorità che abbiamo in Italia davanti a tutto ciò che è angloamericano. Questa alberto-sordità che dovrebbe evocare la macchietta di Nando Mericoni, il personaggio di Un americano a Roma, e questo voler fare gli americani (o “mericoniani”?) come nella canzone di Carosone, hanno preso il sopravvento, hanno perso la loro comicità e si sono trasformati in un fenomeno tragico, per la nostra lingua. Ormai sono coloro che vorrebbero utilizzare le parole italiane a suonare ridicoli e non più “al passo con i tempi”.

Il linguaggio è la spia dell’inconscio, pensava Freud, e la lingua si limita a riflettere le condizioni sociali presenti, scriveva Orwell. La “newlingua” dal sapore orwelliano che ha preso piede nella politica, sui mezzi di informazione, nell’informatica, nel mondo professionale e persino nel linguaggio del Miur o delle amministrazioni – ma che pervade ormai ogni settore – è l’espressione di ciò che sentiamo dentro di noi e della realtà che viviamo.

Ha poco senso combattere i singoli anglicismi che percolano nell’italiano sempre più frequenti e numerosi, sarebbe un po’ come pensare di liberarci delle formiche schiacciando quelle che ci capitano sotto i piedi. Per ogni anglicismo che deprecheremo ce ne saranno almeno altri dieci che spunteranno, se non si agisce sulle cause.
Per evitare l’anglicizzazione della nostra lingua occorre una rivoluzione culturale. Occorre una campagna di sensibilizzazione, come quelle che si sono fatte in Francia o in Spagna, per fare riflettere tutti sul fatto che stiamo distruggendo il nostro inestimabile patrimonio linguistico, che dovrebbe essere tutelato e promosso come si tutela e promuove quello culturale, paesaggistico, manifatturiero, gastronomico… Per evitare gli anglicismi nel linguaggio istituzionale si potrebbero emanare delle linee guida e delle raccomandazioni come è stato fatto con un certo successo nel caso della femminilizzazione delle cariche o del linguaggio non discriminante, per non discriminare anche il nostro lessico. Come si fa in Svizzera, e come abbiamo chiesto l’anno scorso in una petizione rivolta al presidente Mattarella, una supplica firmata da oltre 4.000 persone.

L’Italia non ha una politica linguistica come c’è per esempio in Francia. L’Accademia della Crusca non è come l’Accademia francese o quelle spagnole che hanno un ruolo normativo e possono coniare neologismi sostitutivi a quelli inglesi e regolamentare e indirizzare la lingua e le scelte terminologiche. E per di più la nostra classe dirigente, dai giornalisti ai politici, sono i primi a introdurre e a fissare nell’uso le parole inglesi. Lo stesso avviene nel mondo del lavoro, in quello della scienza, della tecnologia, della formazione… gli ambiti che Pasolini aveva individuato come i nuovi centri di irradiazione della lingua. Quelli che un tempo contribuirono a unificare la nostra lingua e a renderla patrimonio di tutti, oggi la stanno trasformando in itanglese. Senza una legge che tuteli e promuova l’italiano, il futuro della lingua di Dante sarà l’itanglese.
Non è una questione di purismo, ma di ecologia linguistica, e senza un intervento politico e istituzionale il nostro idioma è destinato a essere schiacciato dall’inglese. Il fenomeno della pervasività dei vocaboli inglesi è mondiale, ma all’estero ci sono delle resistenze, delle leggi, delle raccomandazioni, delle associazioni e anche un’altra mentalità rispetto al nostro servilismo linguistico. Per questo motivo l’anglicizzazione del francese, dello spagnolo, persino dell’italiano della Svizzera – dove il question time si chiama l’ora delle domande, in Parlamento e sui giornali – non è paragonabile alla nostra, è ben più arginata.

Ecco perché ho presentato, con altri cittadini, una petizione di legge con 11 punti concreti che non richiedono investimenti o quasi, ma potrebbero cambiare la situazione (il 14 marzo 2021 è stata assegnata al Senato, n. 795, VII Commissione permanente, Istruzione, beni culturali, e il 20 aprile alla Camera, n. 727, VII Commissione cultura).

Tra questi punti c’è anche una tutela dell’italiano in Europa perché ritorni a essere una delle lingue di lavoro, e una sua promozione all’estero, perché potrebbe essere una risorsa da sfruttare meglio anche sul piano economico, visto che gode di un prestigio molto più ampio di quanto non ce ne rendiamo conto in patria.

L’abuso dell’inglese nell’italiano non è separabile dal contesto internazionale. L’espansione delle multinazionali americane porta con sé anche l’esportazione del loro lessico, ma è soprattutto il prestigio dell’inglese come lingua internazionale a far sì che gli anglicismi siano preferiti e suonino come più moderni, precisi, solenni o internazionali anche quando non lo sono affatto. Purtroppo, provvedimenti come l’obbligo di presentare i Prin in inglese, o l’obbligo dell’inglese come unica lingua straniera per accedere ai concorsi della pubblica amministrazione (riforma Madia), vanno nella direzione contraria a quella del plurilinguismo. Questi provvedimenti sono antitetici ai principi sanciti dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (comunicato stampa n. 40/19, 26 marzo 2019) secondo la quale “le disparità di trattamento fondate sulla lingua non sono, in linea di principio, ammesse”, a meno che non esistano “reali esigenze del servizio”, ma in questi casi devono essere motivate “alla luce di criteri chiari, oggettivi e prevedibili”. E soprattutto relegano ancor di più l’italiano, e le altre lingue europee, a lingue di serie B.
L’italiano si può salvare solo con una rivoluzione culturale che metta al centro il plurilinguismo inteso come valore e ricchezza e non come un ostacolo alla comunicazione internazionale nel solo inglese, che non è un scelta neutrale. È la lingua madre dei popoli egemoni che si sta imponendo in tutto il mondo, è forte, e non ha bisogno di essere difesa, al contrario dell’italiano.

Le sue dichiarazioni sull’abuso dell’inglese, per le quali la ringrazio infinitamente a nome di tutti i firmatari che rappresento, sono importanti e lasciano sperare che forse per la prima volta nel suo governo – sono contento che lasci ad altri la “governance” – ci sia una maggiore sensibilità sul tema dell’italiano. E che la nostra petizione di legge sia perlomeno discussa e presa in considerazione dai nostri parlamentari.

Con stima,

Antonio Zoppetti

 

 

 


Immagine di copertina: wikimedia

 

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