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Dante Alighieri moriva esattamente 700 anni fa, nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321. Questo anno dantesco è stato celebrato dalle istituzioni italiane, dall’Accademia della Crusca, dalla Società Dante Alighieri che porta il suo nome, oltre che da tanti artisti che hanno voluto ricordare il Sommo Poeta. Queste celebrazioni si sono tradotte nella riproposizione della Commedia, nell’analisi dei suoi testi e della lingua. Tutto interessante dal punto di vista letterario, linguistico, artistico e storico.
Il punto, però, è che Dante è anche considerato il padre della lingua italiana, e la lingua italiana, fino a prova contraria, è una lingua viva, non un monumento del passato da studiare a posteriori e celebrare in qualche conferenza. Dunque l’elemento che manca in questo settecentenario è quello del rilancio della lingua italiana, cui Dante diede il primo slancio e che oggi è la lingua madre di circa 70 milioni di persone, in Italia e nel mondo.
Cosa intendiamo esattamente con “rilanciare l’italiano”? Vogliamo dire in primo luogo prendersene cura, riflettere sul ruolo che ha avuto nella società italiana, sul ruolo che ha oggi e su quello che vogliamo che abbia nei decenni futuri. Una delle definizioni che la linguistica dà per distinguere una “lingua” da un “dialetto” è lampante: la lingua è un dialetto che ha fatto carriera. Spesso una carriera militare, che passa per conquiste e imposizioni, ma nel caso dell’italiano piuttosto una carriera letteraria, che ha imposto il volgare toscano come lingua colta, poi come lingua della chiesa, poi come lingua amministrativa degli stati preunitari e della formazione scolastica.e universitaria, del mondo professionale e scientifico, infine come lingua domestica parlata e compresa da tutti. Lo Stato italiano, nato 160 anni fa, ha avuto un grande ruolo in questa carriera della nostra lingua. Oggi invece diventa un capo poco riconoscente (e poco lungimirante) che decide di demansionarlo. E allora ecco che l’italiano regredisce: viene progressivamente escluso dalla formazione universitaria (nel 2020 al Politecnico di Milano 27 corsi magistrali su 40 erano esclusivamente in inglese), dalla ricerca scientifica (dal 2018 in Italia i progetti di interesse nazionale devono essere presentati obbligatoriamente in inglese), dal mondo del lavoro, dal lessico tecnico e tecnologico. Dove resta, si ibrida sempre di più con l’inglese, dal quale importiamo ogni anni circa 60 nuove parole crude. Tutto ciò che è nuovo si dice in inglese e spesso anche concetti consolidati ormai perdono il loro termine italiano per far posto al corrispettivo inglese.
In questa situazione, c’è chi pensa a rinchiudere l’italiano in un museo, come si fa con oggetti del passato, mentre lavora per dare un nome inglese persino a ciò che dovrebbe rappresentare la cultura italiana nel mondo. Noi pensiamo invece che l’Italia dovrebbe finalmente avere una propria politica linguistica, che sia equilibrata ma che sostenga l’italiano e lo valorizzi. Che torni farlo proseguire nella sua carriera, senza passi indietro. Perché la nostra lingua è un bene che ci appartiene e come tale dovremmo prendercene cura.
Italofonia.info, attraverso il collettivo degli Attivisti dell’italiano, promuove una proposta di legge dal basso per l’italiano, che giace dallo scorso marzo (mese in cui cade il Dantedì) nei due rami del parlamento di Roma. Leggila e aiutaci a convincere un parlamentare a promuoverla! Fai qualcosa perché l’italiano resti vitale e adatto al mondo di oggi e di domani…
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