70 anni di TV in Italia: lingua italiana e televisione

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Esattamente settant’anni fa, il 3 gennaio 1954, iniziavano in Italia le trasmissione del nuovo ente Rai, Radiotelevisione italiana, nata sulle ceneri dell’EIAR che nel 1924 aveva inaugurato l’avvento della radio nella penisola.

La spinta a capire e parlare l’italiano (da secoli lingua alta ma non parlata nelle case, dove regnavano i “dialetti”) diventata più forte dopo l’unità d’Italia, ha trovato nel parlato trasmesso della televisione una soluzione economica e che ha sopperito in parte alle carenze della scuola.

L’analfabetismo e la scarsa abitudine alla lettura, la «scarsa densità della cultura» indicata dal glottologo Ascoli come uno degli ostacoli per il raggiungimento di una lingua comune, hanno permesso ai mezzi di comunicazione di massa di svolgere un ruolo dominante. Questo ruolo è stato inoltre rinforzato dall’intervento dello Stato, che per decenni ha attribuito alle trasmissioni televisive un compito educativo, legato alla loro funzione di “servizio pubblico”. Nel corso degli anni la televisione ha perso la sua funzione pedagogica, ma è un buono specchio delle varietà della lingua italiana.

La televisione è ed è stata per decenni il mezzo di comunicazione più diffuso in Italia. Questo l’ha resa anche un mezzo di comunicazione molto influente dal punto di vista linguistico. Non esiste una «lingua della televisione», ma tante lingue. Secondo una definizione di Francesco Sabatini, si parla infatti di «italiani trasmessi», al plurale, intendendo con questo le diverse forme espressive a seconda della tipologia del programma: telegiornale, documentario, programma di intrattenimento, sceneggiati, ecc. La «lingua della televisione» ha contribuito al processo di semplificazione e di svecchiamento della lingua italiana. Più specificamente, ha contribuito all’affermazione del cosiddetto italiano neostandard e dell’uso medio.

L’evoluzione della lingua trasmessa nel corso degli anni si intreccia dapprima con la storia della RAI e successivamente anche con quella delle televisioni private o commerciali.

Linguisticamente la storia della televisione in Italia si può suddividere in tre fasi, indicate con i neologismi paleotelevisione e neotelevisione, coniati da Umberto Eco nel 1983, e con il neologismo neo-neotelevisione, coniato da Giuseppe Antonelli.

Nella fase della paleotelevisione, dal 1954 al 1976, la RAI era l’unica emittente televisiva. La RAI aveva prima un solo canale e poi due canali in bianco e nero, e le sue trasmissioni coprivano solo alcune ore della giornata.

La RAI era nata per informare, intrattenere, ma anche per educare gli italiani. In questa fase era quindi presente una funzione pedagogica, diffondendo l’italiano standard, quello delle grammatiche e dello studio a scuola, una lingua con una sintassi semplice ma con un registro alto, e facendo frequentare a presentatori, giornalisti e annunciatrici appositi corsi di dizione per uniformare le pronunce. La diffusione di un modello unificato di pronuncia portò anche alla pubblicazione del Dizionario d’ortografia e di pronunzia (DOP), che riproponeva il modello del fiorentino emendato e fu redatto dai linguisti Migliorini, Tagliavini e Fiorelli. Tra le trasmissioni pedagogiche più celebri c’è “Non è mai troppo tardi” del maestro Manzi, un corso televisivo di alfabetizzazione per gli adulti.

Nel 1976 la RAI viene riformata e viene introdotto il III canale (RAI 3) con le sedi regionali, dando spazio a contenuti su base regionale e quindi al parlato locale. Soprattutto finisce il monopolio della RAI con la nascita delle radio e TV private, prima su base locale e poi nazionale. Nasce la neotelevisione. Si perde la pronuncia impostata e priva di inflessioni dialettali. Il pubblico, che telefona da casa, viene intervistato per strada o è presente in studio, prende sempre più spazio nei programmi televisivi di intrattenimento, ma anche di approfondimento politico, e porta con sé i dialetti, l’italiano sub-standard, quello popolare, che avranno quindi spazio e visibilità fuori dai propri ambiti locali.

Nel terzo ventennio televisivo, dal 1996 in poi, il pubblico diventa sempre più protagonista, con i talk show, la tv verità, con le trasmissioni di info-intrattenimento, e il modello di parlato è sempre più tendente al basso: è la neo-neotelevisione.

Da una lingua standard con un registro formale, caratteristica dei telegiornali e delle trasmissioni di informazione, dei documentari di divulgazione scientifica e culturale, dei dibattiti politici, si passa alle varietà regionali, all’italiano popolare e ai dialetti, sia negli interventi del pubblico da casa o dal vivo in studio e nelle interviste per strada nei programmi di informazione e di intrattenimento, ma anche nel linguaggio dei presentatori, sia nelle TV nazionali che locali e anche nel linguaggio di tanti politici, i quali spesso sconfinano nella aggressione verbale e nella volgarità. Le trasmissioni cambiano, l’intrattenimento prende il sopravvento, le notizie di cronaca, i documentari scientifici e culturali vengono spettacolarizzati.

In conclusione, riteniamo che l’italiano ascoltato in televisione abbia influenzato la lingua contemporanea e che continui a farlo, nel bene e nel male. La presenza di intercalari e forme tipicamente colloquiali come mo’, al posto di ora o adesso, tipica di varianti centro-meridionali, e te, al posto di tu, è oggi riscontrabile in esponenti di tutte le generazioni, spesso assolutamente inconsapevoli del processo di trasformazione linguistica che li coinvolge. Resta l’aspettativa diffusa che la televisione debba e possa ritornare ad essere un punto di riferimento anche culturale, un “buon esempio” di supporto alla formazione degli utenti, mantenendo la sua funzione aggregante e garantendo l’uniformità della nostra lingua, sia pure nel pieno rispetto di dialetti e regionalismi lessicali.

 

 

 


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2 pensieri su “70 anni di TV in Italia: lingua italiana e televisione

  1. Standard si può sostituire con tipico secondo il glossario “Alternativa agli anglicismi”.

    1. Italiano standard e italiano neo-standard sono definizioni linguistiche che abbiamo tenuto nella forma diffusa sui testi di linguistica.

I commenti sono chiusi.