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Il movimento dei linguisti democratici dell’Accademia della Farina integrale ha dato vita oggi al gruppo Explicit, con lo scopo di monitorare i prestiti dall’inglese ormai radicati nella lingua italiana. “Se sono prestiti è arrivato il momento di restituirli – ha dichiarato l’arciconsolo della fondazione – perché sono troppi e non ce ne facciamo niente.”

Il gruppo “Explicit” ha il compito di esprimere un parere sulla sopportabilità – quantitativa e qualitativa – delle parole inglesi che stanno ibridando l’italiano. Il gruppo respinge ogni autoritarismo linguistico, e, attraverso la riflessione e lo sviluppo di una migliore coscienza linguistica e civile, vuole de-anglicizzare il lessico degli operatori della comunicazione, dei giornalisti, dei politici e di tutti i collaborazionisti della dittatura dell’inglese imposta alle masse e alla lingua comune.
I centri di raccolta

Centinaia e centinaia di prestiti inglesi sono già confluiti nei centri di raccolta sorti in molti capoluoghi – i più attivi a Milano (capitale dell’itanglese), ma anche a Roma, Firenze, Palermo, Padova e Forlì – dove i cittadini sempre più esasperati li stanno consegnando ai responsabili che, dopo averli studiati e classificati, si accingono alla restituzione. Il primo problema è quello di stabilire la loro reale provenienza etimologica, per poterli inviare alle ambasciate dei rispettivi Paesi in modo che se li riprendano. La maggior parte arrivano dagli Stati Uniti, ma non mancano anche i vocaboli inglesi (come tunnel, meeting o sandwich) e altri ancora che provengono da Israele (green pass, Gaza City, West Bank) o da altri Paesi anglofoni o anglicizzati (come apartheid che proviene dal neerlandese o boomerang dall’Australia).
Le reazioni dell’anglosfera
Le reazioni dell’anglosfera sono per il momento scomposte e poco unanimi, perché nessuno se li vuole riprendere, ed è iniziato sin da subito uno scaricabile per cui ogni Paese tende a imputare al Regno Unito la principale fonte di provenienza.

“È vero che una parola come privacy è diffusa negli Usa – ha dichiarato il portavoce della Casa Bianca – ma a sua volta noi l’abbiamo presa dall’inglese, dunque la faccenda riguarda gli inglesi.” “Niente affatto – ha replicato l’ambasciatore di Oxford e di Cambridge – noi diciamo “prìvasi” e non “pràivasi” secondo la pronuncia di italiani e statunitensi, dunque lo smaltimento del termine non spetta certo a noi.”
Mentre su molti vocaboli sono sorte controversie legali che sono finite sui tavoli della Corte Internazionale, un altro problema è costituito dagli anglicismi che non provengono da alcun Paese straniero.

Espressioni come beauty case, smart warking, autostop, autogrill, footing e mille altre sono state respinte da tutta l’anglosfera che attribuisce all’Italia la creazione di simili pseudoanglicismi di cui non si assume la responsabilità. Tra le parole che ci sono tornate indietro con ricevuta di ritorno ci sono poi termini come basket – respinto in quanto gli anglofoni parlano di basketball – e poiché noi lo usiamo al posto di pallacanestro (e non di cesto), la restituzione è stata considerata illegittima e affossata in modo ufficiale.
Analoghi respingimenti si stanno verificando per le parole inglesi a cui noi attribuiamo un significato diverso dalla lingua di provenienza, come mobbing, che in inglese non indica affatto una persecuzione nell’ambiente lavorativo, o come dressing che sarebbe un condimento per l’insalata e non il modo di vestire (cioè il dress code che è invece in trattativa di restituzione).
Le polemiche sul piano interno
Enormi polemiche sono sorte anche sul piano interno, dove molti anglicisti hanno sottolineato come questa operazione sia poco fattibile, nella pratica, per varie ragioni.
La prima si può individuare nelle migliaia di parole ibride (whatsappare, computerizzare, clownterapia, libro-game, shampista…). I Paesi anglofoni stanno manifestando una certa disponibilità a trattare solo sulle radici inglesi, ma tutti sono concordi nel respingere parole del genere che contengono anche elementi italiani considerati a loro estranei. In buona sostanza gli ibridi – che non sono né italiani né inglesi – non li vuole nessuno, e attualmente è allo studio una proposta di legge per mandarli temporaneamente in un luogo di stoccaggio in Albania, per tenerli fuori dall’Ue, anche se non è chiaro se questa strategia violi o meno le leggi internazionali.

La seconda questione, forse la più spinosa, riguarda i prestiti di necessità, che come tutti i linguisti sanno sono appunto necessari e dunque non se ne può fare a meno. Il caso più eclatante è quello di mouse, che tutti hanno tradotto con “topo”, ma a noi italiani non è venuto in mente e dunque ripetiamo l’inglese come se non si potesse fare altro.
“Come facciamo adesso a parlare del mouse se restituiamo anche questo?” ha lamentato un accademico attonito davanti all’iniziativa.

La soluzione rivoluzionaria del gruppo Explicit è quella di creare nuove parole italiane, anche se molti linguisti non sono più capaci, visto che da mezzo secolo sono abituati a ripetere e legittimare solo l’inglese. Eppure la proposta del gruppo Explicit è semplice: sostituirlo con “topo inglese”, una scelta che si basa sull’italiano storico dove da sempre si parla per esempio di chiave inglese o zuppa inglese, anche se una minoranza disallineata propende per la soluzione di “topo americano” sul modello di sogno americano e di altre varie americanate.
Le contromisure degli USA

In attesa di vedere come la complicata situazione si evolva e stabilizzi, dagli Usa sono arrivate le prime dichiarazioni in risposta a simili provvedimenti. “Per ogni anglicismo che sarà restituito, deporteremo dieci italianismi a Roma” ha dichiarato Trump che sta valutando l’idea di introdurre anche i dazi lessicali. I suoi consiglieri, tuttavia, premono per evitare questa soluzione che si esaurirebbe nel giro di pochi minuti, visto che a parte pizza, mandolino e cappuccino gli italianismi sono stati di solito adattati in inglese e dunque non sono tecnicamente restituibili.
La trovata di Trump rischia insomma di rivelarsi un boomerang, perché parole come design, sketch, novel, bank, mascara e tutte le altre derivano certamente da disegno, schizzo, novella, banca e maschera, ma dopo il restyling sono diventate a tutti gli effetti inglesi, e dunque se non si possono considerare parole “italian sounding” non possono essere restituite, anzi, a norma di legge siamo noi che dovremmo rispedirle al mittente, invece di farne il plus del made in Italy. Inoltre – mentre da noi tra gli addetti ai lavori dilaga l’idea che esistano i “prestiti di necessità”, il concetto di “italianismi di necessità” non trova corrispondenza nella mentalità anglofona. “Italianismi di necessità? Ma che cavolo state dicendo?” ha chiosato il responsabile della comunicazione di Eleno Mask – come da oggi si dirà in Italia – estremamente preoccupato dal fatto che dovrà cambiare tutta la terminologia delle sue interfacce a partire da X e tradurle in italiano, invece di colonizzare il mondo con i follwers, gli hashtag, le newsletter e tutte le altre espressioni itanglesi con cui le multinazionali d’oltreoceano ci stanno rimbecillendo da decenni.
PS
Questo articolo è pubblicato sul blog Diciamolo in italiano, e si può anche ascoltare su TG UIV (Notiziario dei fatti italiani, edizione speciale pesce d’aprile a cura di Roberto Vielmi).
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