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La controversia che scuote il mondo accademico italiano tra plurilinguismo e monolinguismo anglofono
Una controversia significativa sta emergendo nel panorama accademico italiano, coinvolgendo INDIRE (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa), uno dei più prestigiosi enti di ricerca del nostro Paese. Al centro del dibattito si trova una questione fondamentale per il futuro dell’educazione europea: il rapporto tra inglese e lingue nazionali nei progetti di internazionalizzazione universitaria.
Il ruolo di INDIRE nel programma Erasmus+
INDIRE riveste un ruolo cruciale nel panorama educativo europeo. L’ente opera come Agenzia nazionale Erasmus+ per i settori Istruzione superiore, Istruzione scolastica e Educazione degli adulti, collaborando con la Commissione europea e il Ministero dell’Istruzione. Tra le sue responsabilità principali figura la valutazione di una parte dei progetti accademici targati “Erasmus+”, che hanno il fine sia di rafforzare l’uso delle lingue nazionali sia d’incrementare il plurilinguismo in ambito universitario.
Questa missione dovrebbe essere in linea con le direttive dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa, che hanno spesso invitato gli Stati membri a non arroccarsi su posizioni monolitiche, ma a promuovere piuttosto la pluralità nel campo della comunicazione. Tuttavia, secondo quanto emerso dalle denunce, la realtà appare ben diversa.
Le posizioni di Diana Peppoloni: un grido d’allarme
Al centro della controversia si trova la professoressa Diana Peppoloni, figura di spicco nel panorama della linguistica italiana. Ricercatrice in Didattica delle Lingue Moderne presso l’Università degli Studi di Perugia, la Peppoloni rappresenta una voce autorevole nel campo della glottodidattica e della linguistica computazionale.
Il profilo accademico della professoressa è particolarmente rilevante: i suoi interessi di ricerca rientrano l’impiego dei corpora e delle tecnologie digitali nella classe di lingua, l’individuazione e l’analisi delle caratteristiche linguistiche della comunicazione accademica parlata e lo sviluppo di percorsi di riflessione metalinguistica. Tra i suoi studi più significativi spicca il contributo che indaga la presenza e il ruolo dei forestierismi nel lessico della comunicazione accademica parlata dell’italiano, fondandosi sui dati del Corpus dell’Italiano Accademico Orale (CIAO).
La professoressa Peppoloni ha sollevato critiche chiare contro l’approccio di INDIRE. Secondo quanto riportato, nella prospettiva INDIRE “sostenere le lingue accademiche diverse dall’inglese sarebbe ‘contrario’ agli obiettivi di internazionalizzazione e rischierebbe addirittura di produrre effetti negativi, costringendo studenti e docenti a un carico di lavoro aggiuntivo”.
Questa posizione ha spinto la studiosa a denunciare quello che definisce un surreale “dogma linguistico”, interrogandosi sulle motivazioni che spingono a ingabbiare l’Europa in “un monolinguismo travestito da globalizzazione”. La sua preoccupazione si estende al paradosso di questo approccio: perché progettare un simile depauperamento quando “le stesse istituzioni comunitarie ci ricordano quotidianamente che la diversità linguistica è una risorsa, non un problema?”
I lavori di ricerca della professoressa Peppoloni offrono dati interessanti che contraddicono l’approccio monolingue. I suoi studi sul CIAO (Corpus dell’Italiano Accademico Orale) rivelano che rispetto alla tendenza da tempo misurata verso un’anglicizzazione della lingua italiana, specie per ciò che riguarda la lingua della scienza e dello studio, il CIAO descrive invece uno scenario in cui si inseriscono diverse lingue, tra cui naturalmente l’inglese, ma anche il francese e lo spagnolo.
Questa evidenza empirica suggerisce che gli attori della comunicazione accademica parlata, per formazione e per abitudine all’interazione con interlocutori internazionali, siano soliti ricorrere a un repertorio linguistico plurilingue, che supporti e giustifichi il respiro sovranazionale della ricerca e della divulgazione dei risultati ottenuti.
L’eredità di Luca Serianni e i rischi del monolinguismo
La questione sollevata da Peppoloni trova eco nelle preoccupazioni espresse da uno dei più illustri linguisti italiani, Luca Serianni, scomparso nel 2022. Serianni non nascondeva la sua preoccupazione neanche per l’insegnamento dell’inglese fin dalla scuola primaria: una cosa all’apparenza utilissima, ma in realtà parecchio insidiosa, se in certi casi si finisce con l’imporre ai bambini una totale immersione linguistica anglofila.
Il grande linguista aveva messo in guardia sui rischi a lungo termine di questo approccio: “Una lingua che rinunciasse a esprimersi in aree culturalmente centrali come la scienza e la tecnologia sarebbe destinata a diventare nell’arco di pochi decenni un rispettabilissimo dialetto”, ovvero un sistema atto a veicolare informazioni routinarie, “inadeguato a cimentarsi con la complessità del presente e con l’astrazione propria dei processi intellettuali”.
Il contesto europeo: plurilinguismo come valore
Il dibattito assume maggiore rilevanza se inserito nel più ampio contesto delle politiche linguistiche europee. L’Unione Europea ha sempre promosso il multilinguismo come valore fondante, sostenendo attraverso vari programmi e iniziative la diversità linguistica. Il programma Erasmus+ stesso dovrebbe teoricamente favorire questo approccio plurilingue.
La valutazione di medio termine del Programma Erasmus+ 2021-2027 condotta nel 2024 da INDIRE ha mostrato risultati più che soddisfacenti, con il 92,8% del campione di esperti che considera Erasmus una grande opportunità. Tuttavia, rimane aperta la questione se questo successo sia compatibile con un approccio che privilegia esclusivamente l’inglese.
Per un portale dedicato all’italofonia come il nostro, questa controversia riveste particolare importanza. La questione non riguarda solo l’italiano, ma il futuro di tutte le lingue europee nell’ambito accademico e scientifico. La preoccupazione espressa da Peppoloni si estende infatti a un interrogativo più ampio: “È allora questa la fine che vogliamo infliggere all’italiano come a tante altre lingue? Davvero vogliamo un’Europa che parli solo inglese?”
Il caso solleva un paradosso significativo: un’istituzione che dovrebbe promuovere il plurilinguismo europeo sembra invece favorire un approccio monolingue. Questo contrasto emerge chiaramente dalle funzioni istituzionali di INDIRE, che include il supporto alla valorizzazione e disseminazione delle esperienze e dei principi alla base del Programma Erasmus+, programma che ufficialmente sostiene la diversità linguistica.
Conclusioni: verso un nuovo equilibrio?
La controversia sollevata dalla professoressa Peppoloni apre interrogativi fondamentali sul futuro dell’educazione europea. Mentre l’inglese si conferma lingua franca della comunicazione internazionale, la sfida consiste nel trovare un equilibrio che non sacrifichi la ricchezza linguistica europea sull’altare di una globalizzazione mal interpretata.
Il caso INDIRE potrebbe rappresentare un momento di svolta per riflettere su come conciliare esigenze di internazionalizzazione con la preservazione e valorizzazione del patrimonio linguistico europeo. Come evidenziato dalle ricerche della stessa Peppoloni, il plurilinguismo non è un ostacolo all’internazionalizzazione, ma può rappresentarne una risorsa preziosa.
La questione resta aperta: sarà possibile trovare una sintesi che rispetti sia le esigenze pratiche della comunicazione internazionale sia il valore intrinseco della diversità linguistica europea? La risposta a questa domanda determinerà non solo il futuro dell’italiano e delle altre lingue europee in ambito accademico, ma anche il tipo di Europa che vogliamo costruire per le generazioni future.
Fonti: Il Giornale – INDIRE
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