Elezioni europee: un’occasione per votare per il plurilinguismo e la giustizia linguistica

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Le prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo avranno luogo dal 6 al 9 giugno 2024 sul continente, e in Italia in particolare dall’8 al 9. Si tratta di un importante appuntamento democratico che tuttavia, a torto, viene spesso visto come una semplice prova elettorale per misurare la forza relativa dei partiti di governo e di opposizione a livello nazionale. Si tratta di un errore, perché il Parlamento europeo ha un ruolo cruciale della definizione dell’agenda politica europea e nell’approvazione di direttive e regolamenti che riguardano tutti i paesi membri dell’Unione europea (UE). Inoltre, ci sono alcuni temi fondamentali per la vita nazionale che, per loro natura, non possono che essere affrontati insieme agli altri stati membri della UE. Si pensi alle politiche migratorie, ai temi della decarbonizzazione e salvaguardia dell’ambiente, e soprattutto al tema della difesa. Nessuno stato può più fare da solo in questi ambiti.

Di qui l’importanza fondamentale di avere una comunicazione trasparente e accessibile a livello europeo che permetta ai cittadini di informarsi correttamente, di controllare l’operato della UE, di partecipare al dibattito politico e alle deliberazioni democratiche. Si tratta di una questione di giustizia linguistica. La trasparenza e l’accessibilità, tuttavia, possono essere garantite solo se i cittadini sono messi nella condizione di capire la lingua nella quale sono scritti i documenti della UE e di seguire i dibattiti a livello europeo. Il plurilinguismo istituzionale ha quindi una immediata rilevanza e importanza democratica.

Il Regolamento n. 1 del 1958 è il fondamento giuridico degli obblighi dell’UE in materia di plurilinguismo. Esso stabilisce che la UE ha 24 lingue ufficiali e di lavoro, e presenta le norme che determinano il regime linguistico che le istituzioni, gli organi e le agenzie dell’UE devono rispettare nella loro comunicazione attraverso i documenti ufficiali. Il Regolamento n. 1 però fu adottato in un’epoca in cui la comunicazione digitale tramite siti Intenet e reti sociali non esisteva. Ancora oggi la comunicazione digitale plurilingue non è esplicitamente trattata né nel Regolamento n. 1 né nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. Molti dei contenuti pubblicati in linea sul sito della UE, quindi, non sono tradotti perché sono considerati un sottoprodotto della comunicazione interna, ad esempio interpretazioni e indirizzi politici, opinioni, e linee guida. Ciò significa che, mentre i documenti ufficiali pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea sono sempre disponibili nelle 24 lingue, esistono molti documenti che possono interessare ai cittadini, alle imprese e agli Stati membri che sono resi pubblici in formato digitale senza traduzione.

Uno studio approfondito effettuato nel 2022 per conto della Commissione CULT (Cultura e Educazione) del Parlamento europeo ha analizzato il grado di plurilinguismo di oltre un milione e mezzo di pagine Internet pubblicate su 13 siti delle istituzioni, organismi e agenzie europee. Lo studio fa una distinzione fra documenti “fondamentali” che in virtù del Regolamento n. 1/1958 devono essere pubblicati in tutte le lingue dell’UE, e documenti “primari” che pur non essendo direttamente citati nel Regolamento dovrebbero però essere disponibili in tutte le lingue ufficiali dell’UE a causa del loro contenuto e del potenziale impatto sui diritti e sugli obblighi dei cittadini, delle imprese e delle autorità pubbliche (ad esempio, gli orientamenti in materia di aiuti di Stato, i programmi di finanziamento dell’UE o i bandi di gara). Una terza categoria di documenti, detti “secondari”, come i siti che descrivono la storia degli edifici sede delle istituzioni europee, costituiscono una priorità di ordine inferiore per le esigenze in materia di multilinguismo e l’accessibilità.

Lo studio mostra che i siti della Corte di giustizia dell’Unione europea, Consiglio dell’Unione europea/Consiglio europeo (sito condiviso), Corte dei conti europea, e Parlamento europeo sono effettivamente pienamente e quasi pienamente plurilingui per quando riguarda i documenti detti “fondamentali” e “primari”, mentre lo stesso non si può dire del sito della Commissione europea e della Banca Centrale europea, in cui la maggioranza dei contenuti è disponibile solo in lingua inglese, una lingua parlata come lingua materna da appena il 2% circa della popolazione dei 27 Stati membri.

Contrariamente a un luogo comune diffuso, la maggior parte degli europei non sa l’inglese, e fra chi lo sa, pochi possono dire di conoscerlo a un livello avanzato, ovvero un livello necessario per informarsi su temi complessi e partecipare a un dibattito politico transnazionale. Si tratta di un livello di competenza molto diverso da quello che basta per chiedere informazioni stradali o prenotare una camera d’albergo. Il 21 maggio scorso la Commissione europea ha pubblicato i risultati della più recente indagine Eurobarometro sulle competenze linguistiche degli europei. L’indagine statistica è stata condotta nell’autunno del 2023 su un campione rappresentativo di oltre 26.000 europei di almeno 15 anni di età. I risultati sfatano molti luoghi comuni perché mostrano che a livello europeo, solo il 47% delle persone dichiara di conoscere l’inglese come lingua straniera a un livello sufficiente per avere una conversazione. Questo dato, tuttavia, cela importanti differenze qualitative. L’indagine Eurobarometro, infatti, permette di distinguere fra un livello “molto buono”, “buono” ed “elementare”. Fra chi dichiara di essere in grado di avere una conversazione in inglese, solo il 27% dichiara di avere un livello molto buono, cioè il livello di fatto necessario per comprendere testi e discorsi complessi come quelli che si producono a Bruxelles (il 43% dichiara un livello solo “buono”, mentre un altro 27% un livello “elementare”; il resto non sa valutare). Ne consegue che soltanto un quarto circa di quel 47% che dichiara di conoscere l’inglese è veramente in grado di muoversi senza eccessivi sforzi in questa lingua. Fatti i debiti calcoli, ne emerge che poco meno del 13% degli europei parla molto bene inglese. Sommando i locutori nativi, che come detto sono il 2% circa degli europei, si arriva a un totale del 15%. Detto in altri termini, quando le istituzioni europee decidono di usare solo l’inglese nella loro comunicazione, in pratica, si rendono pienamente accessibili solo al 15% dei cittadini e contribuenti europei, ovvero una minoranza privilegiata. A titolo di raffronto il 19% degli europei ha il tedesco come lingua materna, che solitamente è la lingua pienamente padroneggiata, seguito dal francese (15%) e dall’italiano (13%). A questi potremmo aggiungere coloro che parlano tedesco, francese e italiano molto bene come lingue straniere. Il risultato non cambierebbe, perché le cifre mostrano chiaramente che usare solo l’inglese è una scelta non solo subottimale, ma anche poco trasparente e accessibile rispetto a un regime linguistico plurilingue. In particolare, escludere l’uso delle maggiori lingue materne della UE, ovvero il tedesco, francese, italiano, ma anche spagnolo e polacco (senza nulla togliere all’importanza delle restanti lingue ufficiali) si rivela essere una scelta profondamente antidemocratica.

Il caso italiano è particolarmente interessante a tal proposito. L’indagine Eurobarometro mostra il 92% della popolazione dichiara l’italiano come propria lingua materna, e solo il 33% dichiara di conoscere l’inglese come lingue straniera a un livello sufficiente per avere una conversazione, e di questi nemmeno un quinto dichiara di avere un livello “molto buono”. Insomma, quando Bruxelles parla sono in inglese, appena il 6% della popolazione in Italia capisce senza grosse difficoltà.

Le elezioni europee del 2024 sono quindi l’occasione per inserire il rispetto per il plurilinguismo nell’agenda dei partiti che si partecipano alle elezioni. Il già citato studio del 2022 avanza le seguenti proposte. Primo, sviluppare un quadro e norme comuni e trasparenti per la comunicazione multilingue, anche nella sfera digitale. Secondo, istituzionalizzare il monitoraggio periodico della conformità legale, della trasparenza amministrativa e dell’uso delle risorse per garantire una comunicazione multilingue attraverso una relazione periodica. Terzo, creare la figura di responsabile del multilinguismo per esaminare le prassi, i regimi linguistici e le politiche linguistiche per la comunicazione su Internet. Quarto, promuovere l’uso delle lingue ufficiali nella comunicazione digitale al fine di migliorare l’accessibilità e la vicinanza ai cittadini. Quinto, è necessario incrementare gli stanziamenti di bilancio dell’UE a favore del multilinguismo. Si tratta di obiettivi concreti e fattibili. Non resta che augurarsi che gli elettori sappiano premiare i candidati alle elezioni che si impegnano a raggiungerli.

 

Michele Gazzola, Ulster University

In copertina foto di NoName_13 da Pixabay

 

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