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All’inizio degli anni Ottanta, due illustri professori ormai scomparsi – l’epidemiologo Pierluigi Morosini dell’Istituto Superiore di Sanità e l’esperto di statistica Marco Marchi dell’Università di Pisa – avevano condotto degli studi sul linguaggio poco trasparente dei piani sanitari che circolavano in quegli anni. E avevano raccolto e analizzato una serie interminabile di frasi stereotipate, generiche e astratte che a quei tempi caratterizzavano non solo i documenti della burocrazia tecnica del settore, ma più in generale anche il modo di esprimersi tipico del politichese, del sindacalese o dell’aziendalese degli anni Settanta. La critica più feroce a questo stile comunicativo era stata mossa una ventina di anni prima da Italo Calvino in un celebre articolo uscito su Il giorno (“L’antilingua”, 3 febbraio 1965), dove un testimone dichiarava ai carabinieri:
“Stamattina presto andavo in cantina ad accendere la stufa e ho trovato tutti questi fiaschi di vino dietro la cassa del carbone. Ne ho preso uno per bermelo a cena”;
ma nel rapporto del brigadiere questa formulazione naturale e concreta diventava invece:
“Il sottoscritto essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali dello scantinato per eseguire l’avviamento dell’impianto termico, dichiara d’essere casualmente incorso nel ritrovamento di un quantitativo di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del combustibile, e di avere effettuato l’asportazione di uno dei detti articoli nell’intento di consumarlo durante il pasto pomeridiano”.
Questo esempio caricaturale che fuggiva dalla concretezza rappresentava per Calvino “il male” della comunicazione, visto che il suo ideale espressivo puntava al contrario a un linguaggio che fosse “il più possibile concreto e il più possibile preciso”. E il suo timore più grande era che l’antilingua diventasse un modello destinato a uscire dall’ambito tecnico-gergale per estendersi alla lingua comune.
Il “Gas” e il “Tubolario”
In linea con questa denuncia, Morosini e Marchi pensarono di utilizzare una serie di parti astruse ricavate dalle direttive di ambito sanitario per costruire un “Generatore Automatico di piani Sanitari” (Gas) formato da tasselli che si potevano combinare tra loro in ogni modo per dare vita a delle frasi strutturalmente corrette ma prive di ogni significato reale, per esempio:
Il metodo partecipativo / presuppone / la puntuale corrispondenza fra obiettivi istituzionali e risorse / con criteri non dirigistici / fattualizzando e concretizzando / nel contesto di un sistema integrato / un indispensabile salto di qualità.
Ogni elemento poteva essere sostituito da altre nove varianti intercambiabili, e attraverso delle ricombinazioni casuali si potevano ottenere milioni di frasi incomprensibili. La provocazione era allora concepita come una semplice tabella, in cui era il lettore a leggere i moduli nell’ordine che preferiva. Ebbe comunque un grandissimo successo, e fu ripresa in prima pagina sul Corriere della Sera in articolo intitolato “10 milioni di frasi inutili”. Nel 1982 ne fu ricavato persino un gioco immesso sul mercato dalla ditta Sebino, il “Tubolario”, che era appunto un tubo segmentato che permetteva di ruotare gli elementi di ogni frase combinandoli in tutti i modi manualmente. Ne furono realizzate tre versioni dedicate rispettivamente al linguaggio della politica, dello sport e dell’amore.
La letteratura potenziale e combinatoria, antenata dell’intelligenza artificiale
Dietro quel gioco c’erano però dei precedenti letterari di grande spessore nati dalle speculazioni dello scrittore francese Raymond Queneau (legato alla patafisica) e del matematico François Le Lionnais. I due lavoravano all’idea di elaborare delle strutture narrative che si potessero automatizzare, e nel 1960 fondarono a Parigi il SELITEX (Séminaire de litérature expérimentale), che l’anno seguente sarebbe diventato l’OULIPO (OUvroir de LIttérature Potentielle), con lo scopo di “proporre agli scrittori nuove strutture di natura matematica, oppure anche inventare nuovi procedimenti artificiali e meccanici, che contribuiscano all’attività letteraria: sostegni dell’ispirazione, per così dire, oppure anche, in qualche modo, un aiuto alla creatività”.
Seguendo questo approccio, nel 1961, Queneau pubblicò per la Gallimard i Cent Mille Milliards de Poèmes che più che un libro di poesie è un gioco matematico di regole e di rime, una sorta di catalogo che parte da 10 sonetti, ognuno dei quali è suddiviso in molteplici striscioline che permettono di leggere-ricombinare i versi in modi sempre differenti in grado di dar vita a un numero di centomila miliardi di combinazioni. Le Lionnais, per definire quest’opera parlò di una letteratura combinatoria esplicitamente legata a un’accezione matematica.
L’Oulipo ebbe varie filiazioni, e in Italia nel 1990 fu fondato l’Oplepo (OPificio di LEtteratura POtenziale) – da cui nel 1998 nacque anche l’Opelpo (OPificio di ELaborazione POtenziale) – mentre nel 1991 era sorto un braccio informatico (Teano) che partiva dagli stessi presupposti ma li sviluppava appunto attraverso i primi calcolatori domestici che nel frattempo si stavano facendo strada. Il gruppo realizzò per esempio un rifacimento dell’Artusi (L’artusi S+n) in cui gli ingredienti delle ricette erano sostituiti dall’algoritmo con altre parole prese dal dizionario, ma spostate più in là nell’ordine alfabetico di un certo numero (n per l’appunto), producendo effetti divertenti e casuali come il “gelato di lumache” e altri simili non sensi.
Il Gas di Marchi e Morosini si inseriva in questa illustre tradizione, anche se nasceva non per motivi letterari, ma per mettere alla berlina l’antilingua dei piani sanitari. E il loro progetto fu inserito in una storica e pionieristica mostra interattiva che si è tenuta nel 1983 a Palazzo Reale di Milano, Jarry e la patafisica, dove i visitatori potevano personalizzare attraverso il metodo S+n ricette o oroscopi generati in modo automatico che potevano anche stampare e portarsi a casa.
Dall’antilingua di Calvino all’itanglese corporate
A quei tempi l’astrusità comunicativa si poggiava ancora sull’italiano, ma oggi è l’inglesorum a incarnare lo stesso modello. Se Calvino, che era amico e collaboratore di Queneau, si rammaricava del fatto che “avvocati e funzionari, gabinetti ministeriali e consigli d’amministrazione, redazioni di giornali e di telegiornali scrivono parlano e pensano nell’antilingua” e denunciava come ogni giorno “centinaia di migliaia di nostri concittadini” traducessero mentalmente la lingua italiana in questa “lingua inesistente”, oggi i piani sanitari, ma anche della scuola e delle istituzioni guardano all’inglese e si esprimono sempre più spesso in un gergo che si può chiamare “itanglese”.
Come ha scritto l’accademico della Crusca Claudio Marazzini, per rendersene conto,
“basta scorrere i vari comunicati in cui si è discusso l’uso di termini come hot spot, voluntary desclosure, stepchild adoption, whistleblower, home restaurant, caregiver, revenge porn, data breach, compliance, booster e via dicendo. (…) Va ribadito che oggi l’inglese svolge appunto la funzione di burocratese e sfocia in quello che Calvino chiama antilingua, cioè una lingua che si stacca dalle parole dell’uso comune per rifugiarsi in un orizzonte vago e artificioso, proprio per questo rassicurante, in quanto evasivo rispetto alla realtà. Basta leggere il Piano scuola 4.0 per rendersene conto. C’è dunque chi coltiva amorevolmente gli anglismi in una miscela di oscurità burocratica, come comodo moltiplicatore di pseudoconcetti che arricchiscono il vaniloquio retorico ammantato di esibita tecnocrazia (“Ecologia degli idiomi nazionali: sostenibilità delle lingue e salute dell’italiano” in L’italiano e la sostenibilità, a cura di Marco Biffi, Maria Vittoria Dell’Anna, Riccardo Gualdo, goWare, Firenze 2023, pp. 166-167).
E così, proprio mentre il fenomeno della scrittura automatica sta ormai esplodendo attraverso le nuove e ben più potenti modalità tecnologiche della cosiddetta intelligenza artificiale, la denuncia di Marchi e Morosini è stata qui riproposta attraverso la nuova antilingua anglicizzata che si sta affermando in sempre più settori, a partire dall’aziendalese ormai trasformato in “itanglese corporate”.
Ecco il perché (e l’urgenza) di un nuovo generatore automatico al passo con i tempi, in grado di dare vita a 7 milioni di “testi alla cock”, come si potrebbe definirli con ironico disprezzo. Clicca qui per provarlo subito!
Il progetto – scritto e ideato da Antonio Zoppetti – è stato informatizzato e ospitato da Italofonia.info.
Buon divertimento.
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