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Pochi giorni fa si sono conclusi i Giochi del Mediterraneo, tenutisi a Orano, Algeria. Per la quinta volta consecutiva da Almeria 2005, la squadra italiana sale sul gradino più alto del medagliere dei Giochi, con 159 medaglie e 3 ori in più rispetto alla Turchia, seconda in classifica con 108 metalli. Chiude il podio finale la Francia, con 81 medaglie complessive. L’Italia domina il medagliere generale di questa manifestazione che dal 1951 si tiene ogni quattro anni unendo i Paesi dell’area mediterranea in una competizione sportiva multidisciplinare, con 2462 medaglie totali, 924 delle quali d’oro (seconda è la Francia con 1821 medaglie). Parlando di italofonia, alle medaglie italiane possiamo sommare le 23 vinte dal piccolo stato di San Marino che, pur non affacciandosi sul mare, è da considerarsi a tutti gli effetti nell’area culturale e geografica mediterranea.
L’Italia è uno dei più grandi attori di quello che i Romani chiamavano mare nostrum non solo dal punto di vista sportivo, ma anche sui fronti economico e culturale. Come questa importanza si riflette sulla diffusione della nostra lingua nel bacino mediterraneo?
Se guardiamo l’ufficialità dell’italiano in Paesi e organizzazioni del Mediterraneo, la presenza dell’italiano è ben poca. Al di fuori di Italia, San Marino e le regioni costiere della Slovenia e dell’Istria croata, non ha statuto di ufficialità. L’organismo che presiede i Giochi del Mediterraneo, il CIJM, ha come lingue ufficiali l’arabo, il francese e l’inglese, mentre il suo sito internet presenta anche una versione in lingua greca, avendo il comitato sede ad Atene. Invece la sede della Conferenza per l’audiovisivo del Mediterraneo (COPEAM) è Roma, eppure anche questo ente non vede l’italiano tra le sue lingue ufficiali.
Eppure l’italiano ha avuto per secoli un ruolo di ponte tra i Paesi dei tre continenti che si affacciano su questo mare.
Si dice spesso che la lingua franca parlata dal X secolo negli ambiti marittimi e mercantili del Mediterraneo fosse «un pidgin a base soprattutto italiana» (Cifoletti 2004: 18). Secondo Cortelazzo (1998: 321) «il primato dell’italiano è indiscusso nel Mediterraneo orientale», tanto che ha arricchito di numerosi termini le lingue di tali territori. Secondo una tesi (SDA 2007-2008) Venezia portò nelle isole Ionie non solo il veneziano ma anche l’italiano del diritto, tanto che nella Corfù britannica le leggi municipali furono pubblicate in italiano nel 1846.
L’Ordine di San Giovanni, religioso militare e ospedaliero, nato a Rodi ma poi trapiantatosi a Malta, aveva l’italiano come lingua veicolare di comunicazione tra le diverse “nazioni” (dette Lingue) che lo componevano: Francia, Provenza, Alvernia, Italia, Aragona, Castiglia, Inghilterra e Germania. L’importanza dell’italiano risulta dal fatto che gli atti dei Capitoli Generali degli anni 1454, 1475, 1495 e 1501, redatti a Rodi, contengono allegati in italiano, che non riguardano solo la Lingua d’Italia, ma anche le altre Lingue.
Nel tardo Cinquecento e nel Seicento, quando Tunisi era parte dell’impero ottomano, i funzionari turchi, arabi e berberi discutevano e redigevano trattati e accordi con i funzionari francesi in lingua italiana. Inoltre, l’italiano era usato al consolato francese di Tunisi per registrare debiti, vendite, procure e dichiarazioni di ogni tipo. Nel Settecento in Turchia l’italiano faceva da lingua intermediaria fra il russo e il turco e in Egitto l’italiano fu lingua ufficiale dell’amministrazione fino al 1876.
Nell’isola di Corsica (passata ai Pisani nel 1100 e poi ai Genovesi fino al 1768 quando divenne francese) l’italiano restò lingua co-ufficiale amministrativa fino al 1859, ma in uso come lingua della comunicazione scritta privata fino ai primi nel 1900. A Malta fu lingua ufficiale fino al 1934 quando i Britannici la abolirono per timore che favorisse le mire annessionistiche dell’Italia fascista, ma ancora oggi è compresa da oltre il 70% della popolazione dell’arcipelago.
Dopo la seconda guerra mondiale il risveglio nazionalistico arabo costrinse al rimpatrio quasi tutti i coloni. Basti ricordare che gli italiani espulsi dalla Libia nel 1970 furono 20.000, e che in Tunisia ne rimasero soltanto circa 8000 dopo il 1967, ridotti a circa 4000 oggi.
La perdita dell’uso dell’italiano nei paesi mediterranei è stata chiamata (F. Bruni in SDA 2007-2008) «l’italiano sommerso», perché il ruolo dell’italiano si è trasformato drasticamente: dove una volta era una lingua viva, parlata e scritta nelle comunità coloniali e nella burocrazia, oggi le sue sorti dipendono dall’apprendimento formale e dall’ascolto televisivo. A parte il caso di Malta e della Corsica, che è particolare perché storicamente coinvolgeva la popolazione locale (Brincat 2003), la domanda dell’italiano nelle ex colonie mediterranee rimane significativa ed è legata soprattutto alle università, alle scuole secondarie e ai corsi organizzati dagli Istituti italiani di cultura e dalla Società Dante Alighieri. Tutto sommato, però, «la tendenza alla diminuzione riguarda indistintamente l’area mediterranea orientale e quella occidentale» (De Mauro et al. 2002: 146-147). Si ritiene che in Albania l’italiano sia compreso dall’80% della popolazione e parlato dal 50%, ma il suo apprendimento a scuola è basso perché alle scuole superiori solo il 5% lo sceglie come prima lingua straniera e il 50% lo sceglie come seconda lingua. Il programma Illiria, tuttavia, sta migliorando la situazione, anche se la concorrenza dell’inglese e ora del turco è molto forte. Migliore è la situazione in Tunisia, dove i corsi universitari d’italianistica attirano circa 4000 studenti e sopravvive una pubblicazione bimensile in italiano con una tiratura di circa 5000 copie, il Corriere di Tunisi.
Attualmente è debole il peso linguistico delle imprese italiane operanti all’estero, sebbene siano centinaia nei paesi del Mediterraneo (800 in Tunisia, 450 in Turchia, ecc.), come pure quello del corpo diplomatico, perché il personale adopera volentieri, e senza l’impaccio di una volta, l’inglese, che ormai domina in tutti i campi specialistici. Nel Mediterraneo il futuro dell’italiano sembra legato, almeno come esposizione, soprattutto alla televisione, dato che l’ascolto dei canali italiani è relativamente alto a Malta, in Albania, in Tunisia e in Marocco, e all’accessibilità dei siti italiani in Rete.
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