Insegnare di più l’italiano nelle scuole d’Italia, a chiederlo i docenti di materie scientifiche

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Abbiamo parlato pochi giorni fa di come gli studenti italiani abbiano competenze in lingua italiana che peggiorano di anno in anno (e di pari passo quelle in materie come la matematica), mentre aumenta solo la conoscenza dell’inglese. Oggi citiamo un caso che viene da Bologna ed è, a nostro avviso, emblematico.

In un liceo della città emiliana dal prossimo settembre, al biennio, si farà un’ora di italiano in più a settimana. Ciò avviene dopo la richiesta di insegnanti di diverse materie, tra cui – con forza – quelli di materie scientifiche.

“Ci siamo accorti che negli ultimi anni chi esce dalle medie – spiega il dirigente scolastico dell’istituto, ex professore di lettere – ha molte lacune nella comprensione e nella redazione di un testo, i ragazzi mancano di adeguate competenze grammaticali e hanno una povertà lessicale che inficia l’andamento in tutte le materie, non solo quelle umanistiche. Paradossalmente faticano quasi di più a comprendere testi di fisica. È stata una proposta dei docenti che sono stato ben felice di accogliere e a cui faremo fronte con risorse interne”.

Il peggioramento delle competenze linguistiche, secondo il preside, è stato progressivo negli ultimi vent’anni, ma nel caso degli alunni che hanno frequentato elementari e medie durante la pandemia “è una sorta di peccato originale”. La delibera è passata all’unanimità tra i docenti.

La novità, annunciata nelle giornate di orientamento per presentare la scuola ai futuri studenti, ha già ottenuto il plauso delle famiglie. E i quartini da settembre avranno un’ora in più di italiano, passando dalle quattro settimanali attuali a cinque.

L’impegno aggiuntivo non sarà però solo degli studenti, ma pure degli insegnanti di lettere. “Hanno iniziato ora un percorso per riprogettare un po’ tutta l’educazione linguistica nei primi due anni e migliorare le competenze in tutte le discipline. L’obiettivo è migliorare il lessico, i ragazzi conoscono molte meno parole di un tempo, è una delle principali cause della mancanza di comprensione. Poi faticano a creare un testo coerente. Un po’ perché se scrivono, scrivono messaggi, post, brevi e poco articolati, un po’ perché di fatto i temi alle medie sono stati aboliti. Ci saranno poi momenti di confronto in itinere per vedere quali sono le buone prassi che aiutano”, aggiunge.

Da anni diciamo che l’italiano va rimesso al centro delle scuole d’Italia. Negi ultimi vent’anni invece, si è abbandonato lo studio della propria lingua madre, per far posto a molte materie diverse alle scuole dell’infanzia e alle medie, e al cosiddetto CLIL – l’insegnamento di intere materie non in italiano ma in inglese – che impoverisce la didattica e aumenta le disuguaglianze.

Le conseguenze si iniziano a vedere anche sugli adulti. Il Programma di valutazione delle competenze della popolazione adulta dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ha diffuso proprio questi giorni il suo nuovo rapporto, che fotografa una popolazione italiana tra i 16 e i 65 anni che per un terzo (35%) ha capacità linguistiche (nella propria lingua madre) scarse o molto scarse, comunque insufficienti. La media dei 31 Paesi analizzati è invece il 26%.

Sono persone che sanno leggere e scrivere ma al massimo riescono a comprendere testi brevi, quando le informazioni sono indicate chiaramente. Non riescono a capire testi complessi o ragionamenti che necessitano di più passaggi.

Naturalmente il tema è complesso, e il tema linguistico è solo uno dei fattori. Riteniamo però che in Italia ancora si fatichi a fare il nesso tra questa situazione e la politica contro l’italiano che i diversi governi stanno portando avanti proprio dall’inizio di questo secolo. Bisogna ripensare ciò che si è fatto, riconoscendo che il culto per l’inglese dev’essere messo in discussione. Lo studio dell’inglese rientra nelle competenze di lingua straniera, che per quanto strumento importantissimo nel mondo di oggi, non può andare a discapito della conoscenza, della padronanza e dell’uso della propria lingua madre. Altrimenti avremo un Paese dove gli analfabeti funzionali saranno sempre di più. E in una democrazia ciò è non solo inaccettabile ma anche molto pericoloso.

 


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