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La scuola statale italiana dell’Asmara, in Eritrea, da qualche giorno è ufficialmente chiusa. La motivazione ufficiale è legata alla pandemia di coronavirus, ma da più parti c’è la preoccupazione che non riapra più. Ponendo così fine a una storia lunga più di 100 anni, di un istituto prestigioso – la più grande scuola italiana all’estero – che costituisce anche un centro di irradiamento della nostra lingua e cultura nel Paese e in tutto il Corno d’Africa.
Le dinamiche di questa crisi sono confuse, con un rimpallo di responsabilità tra governo italiano ed eritreo.
Le origini possono essere ricercate, da parte italiana, nei decreti di riforma dell’Istruzione del 2017 e 2018, con i quali si è ridotto drasticamente il contributo finanziario agli istituti di formazione all’estero (DL 64/2017 e DM 2051/2018), si è impedito l’impiego di personale supplente, ricorrendo al contempo al costante reclutamento di docenti locali. Il ricorso quasi esclusivo a docenti locali per l’insegnamento delle principali materie di studio dell’Istituto, ha trasformato il carattere distintivo della scuola e della sua offerta formativa. Da più parti si è nel tempo lamentato che questa trasformazione facesse della scuola di Asmara un mero istituto linguistico, perdendo il carattere originale di istituto di istruzione italiano.
Gli eritrei hanno interpretato il perdurare della mancanza di attenzione del Governo italiano verso la scuola come espressione di una più ampia posizione atta a ridimensionarne la struttura e l’organico. Inoltre, la gestione dell’Istituto italiano dell’Asmara è regolato da un Accordo Tecnico bilaterale siglato nel 2012, dove veniva stabilito che l’Italia e l’Eritrea avrebbero provveduto a nominare i membri di un comitato tecnico congiunto. L’accordo è scaduto nel 2017 e, pur non essendo stato ufficialmente ridefinito, è stato tacitamente rinnovato sino al corrente anno. L’Italia non avrebbe provveduto a nominare i propri delegati per la gestione dell’accordo e l’Eritrea avrebbe quindi adottato un atteggiamento di chiusura poi sfociato nella crisi odierna.
Ma anche l’Eritrea ha avuto la sue responsabilità in questa crisi, avendo sempre negato l’accettazione della durata del mandato standard degli insegnanti italiani all’estero, di 9 anni, imponendo al contrario una durata di 5 anni, che determina problemi nella gestione delle classi e nella transizione a fine mandato. Ciononostante, ha più volte cercato di sollecitare l’Italia sul pieno rispetto degli accordi bilaterali di gestione dell’istituto, riscontrando il più delle volte un atteggiamento di scarsa attenzione. Al tempo stesso, il Governo eritreo ha iniziato ad avviare la nazionalizzazione degli istituti scolastici e delle infrastrutture sanitarie controllate da enti privati, religiosi o stranieri, dando in tal modo applicazione ad alcune enunciazioni costituzionali di principio sul ruolo dello Stato, sino ad oggi rimaste ignorate.
Da Roma si sarebbe cercato tardivamente di chiedere all’Eritrea di procedere con il rinnovo dell’Accordo Tecnico, senza ricevere tuttavia alcuna risposta né alcuna formale richiesta di terminazione. Nel mese di marzo, infine, il Ministero dell’Istruzione eritreo ha notificato il recesso motivandolo come conseguenza della decisione dell’Italia di chiudere la scuola. La sospensione temporanea della didattica a causa della pandemia è stata gestita secondo gli eritrei in modo arbitrario, decretando la chiusura dell’Istituto in modo irrituale e lasciando nell’incertezza gli studenti, di cui il 90% è di nazionalità eritrea.
Successive comunicazioni e l’avvio della gestione della didattica a distanza, pur caratterizzata da successo, non avrebbero disinnescato la tensione sorta in seno alle autorità eritree, determinando in tal modo una dinamica di crisi entrata poi nel vivo alla fine dell’anno scolastico, quando è apparsa sempre più concretamente l’ipotesi di una chiusura.
Dopo essere riusciti ad organizzare gli esami per gli studenti eritrei dell’ultimo anno, il Presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte ha personalmente scritto al presidente eritreo Isaias Afewerki per esprimere la volontà italiana di individuare soluzioni atte a garantire la continuità dell’Istituto, senza tuttavia ricevere ad oggi alcuna risposta formale.
L’apposizione dei sigilli alla scuola determina adesso il rischio di una definitiva chiusura dell’Istituto e la cessazione di un’attività iniziata nel 1903, sempre rimasta un fiore all’occhiello della cooperazione culturale italiana con l’Eritrea.
La notizia, che circola da diversi giorni su siti specializzati, viene quasi ignorata dai mezzi d’informazione principali in Italia. Le nostre domande al ministro e viceministro degli Esteri sono stati finora ignorate.
Eppure proprio la viceministra Del Re aveva condotto viaggi nel Paese africano, favorito missioni di imprenditori italiani interessati ad investire, realizzato un gemellaggio tra la scuola italiana di Asmara e quella di Addis Abeba, in Etiopia. La realtà è che l’Italia fatica a stabilire una propria strategia di proiezione nel mondo, neanche in Africa Orientale, dove, almeno nel rispetto delle responsabilità che gravano sull’Italia come ex potenza coloniale e in virtù dei legami rimasti per lungo tempo solidi e intensi, si sarebbe potuto e dovuto definire un progetto di ampio orizzonte e lungo termine attraverso il quale perpetuare un rapportocostruttivo con la regione.
L’Italia potrebbe esercitare un grande soft power, un potere morbido legato ai legami linguistici, culturali ed economici con queste terre. Ma al momento riscontriamo con rammarico che chi governa il Paese, indipendentemente dal colore politico, sembra non interessarsi a questa grande opportunità da cogliere.
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