Condividi questo articolo:
La Voce di New York rappresenta oggi il primo giornale statunitense in lingua italiana (e inglese), punto di riferimento per gli italoamericani e gli italiani residenti negli Stati Uniti ma anche per tanti italiani d’Italia che ogni giorno visitano il portale per leggere notizie fresche da oltreoceano. I suoi articoli in italiano sono disponibili anche sul nostro aggregatore di notizie internazionali “Dal mondo, in italiano“.
Ho avuto il piacere di incontrare a New York il presidente e direttore della Voce, Giampaolo Pioli – giornalista esperto, giunto anni fa nella Grande Mela come corrispondente del Resto del Carlino – per parlare con lui del presente e del futuro del progetto.
La Voce di New York nasce nel 2013 su iniziativa di Stefano Vaccara, docente universitario e giornalista di origini siciliane che all’epoca dirigeva “Oggi7”, il settimanale del quotidiano “America Oggi”. Una volta terminata l’esperienza del periodico, Vaccara si ritrovò con una rete di collaboratori desiderosi di continuare a scrivere e raccontare l’America in italiano. Ecco allora l’idea di lanciare un nuovo progetto, interamente in Rete: un sito d’informazione aggiornato regolarmente, in grado di sfruttare le nuove tecnologie per raggiungere vecchi e nuovi lettori. Le quindici notizie giornaliere degli esordi sono diventate oggi un centinaio, pubblicate in tempo reale grazie a due redazioni – in Italia e a New York – che coprono 22 ore della giornata (e puntano a raggiungere presto le 24).
Una copertura giornaliera così estesa è essenziale per soddisfare il pubblico de La Voce di New York. Un pubblico particolare, distribuito sulle due sponde dell’Atlantico e fatto di oltre 300.000 visitatori unici mensili e diecimila iscritti alla newsletter. Da un lato un pubblico di italiani che, sempre più numerosi, cercano notizie di prima mano dagli Stati Uniti, che vadano oltre le notizie di cronaca su maltempo e sparatorie, e che non siano filtrate dalla lente di un punto di vista solo italiano. Dall’altro lato il pubblico degli italiani che negli USA vivono stabilmente, perché ci si sono trasferiti o perché ci risiedono per alcuni anni per motivi di lavoro. E naturalmente gli italo-americani, di seconda, terza, quarta generazione, che spesso mantengono un orgoglio per la propria italianità e una grande curiosità verso l’Italia. Non ultimi, gli americani che – pur senza legami di sangue – amano l’Italia, le sue bellezze, il suo stile di vita famoso nel mondo, e che anche in questo caso desiderano essere informati da una fonte diretta, “locale”. Perché La Voce di New York è questo: uno straordinario giornale, locale e internazionale al tempo stresso.
Seduti nello splendido salotto della sua casa newyorkese affacciata sul fiume Hudson, Giampaolo mi racconta che questa anima plurale si traduce in una continua ricerca tesa a capire il proprio pubblico, studiarlo, interpretarlo, per poter fornire un prodotto editoriale di qualità e adatto a esigenze così variegate. Ne è un esempio la scelta di usare La Voce per dare una casa ai Comites (Comitati degli italiani all’estero) e alle tante associazioni italiane e italoamericane presenti sul territorio, da quelle più storiche fino a quelle più recenti, come l’Alma Mater dei Bocconiani o la fondazione dell’università LUISS. O ancora, le associazioni regionali (degli abruzzesi, dei napoletani, ecc.) i cui membri conservano un ricordo dei loro paesi di origine “cristalizzato” al momento della propria emigrazione, e che attraverso questo nuovo ponte con l’Italia possono scoprire con stupore e orgoglio come le loro terre di origine si siano evolute nel Terzo Millennio.
Questo mosaico si riflette anche sull’aspetto linguistico, quello che a noi di Italofonia – per ovvie ragioni – interessa di più. La Voce di New York è un quotidiano bilingue, dove l’italiano ha un ruolo centrale, dal nome della testata al peso nei contenuti, ma dove l’inglese si è ritagliato una presenza crescente. Questo per assicurare che il ponte virtuale teso sull’oceano sia percorribile in entrambe le direzioni e da parte di tutte le fasce di pubblico, compresi gli italoamericani delle ultime generazioni che magari hanno perso la conoscenza della lingua italiana, ma che vogliono conoscere l’Italia ma lo fanno ricorrendo all’inglese. La versione italiana e quella inglese dunque non sono semplicemente la traduzione l’una dell’altra, ma sono due parti complementari, che si integrano e arricchiscono a vicenda.
Ma venendo più strettamente alla presenza della lingua italiana negli Stati Uniti, qual è il suo stato di salute?
La nostra lingua non conta le dimensioni di altri idiomi come lo spagnolo, che in molti stati del Paese è una lingua “sociale”, presente nel panorama linguistico delle città, udibile per strada, utile per comunicare con ampie fasce di lavoratori nella vita di tutti i giorni. Ma nonostante questo si può dire comunque una lingua presente e protagonista negli ultimi anni di un rifiorire dovuto a diversi fattori. L’essere italoamericano oggi non è più associato agli stereotipi del passato, che spingevano tanti genitori a non trasmettere ai figli l’italiano o i propri dialetti; al contrario è motivo di orgoglio, perché viene associato a una serie di personaggi di origini italiane che hanno avuto successo (Cuomo, Pelosi, Giuliani…). Molti hanno deciso di recuperare o richiedere il passaporto italiano, che facilità l’acquisto di proprietà in Italia e la possibilità di viaggiare in tutta l’Europa. Di conseguenza anche la lingua – collegata immediatamente a concetti di bellezza, musicalità ed eccellenza – viene riscoperta. Poco tempo fa, a gennaio, c’è stata in Florida una conferenza sulla lingua italiana e l’italianistica tenuta da Anthony Tamburri, a capo del Calandra Italian American Institute. Nell’area dei Tre Stati (New York, New Jersey e Connecticut) si contano 92.000 iscritti all’AIRE, l’anagrafe degli italiani residenti all’estero, mentre gli oriundi arrivano a qualche milione. Altre comunità nutrite si trovano a Chicago e Miami. Un bacino importante, che sta portando i corsi d’italiano – anche quelli privati e più costosi – a fare il pieno di iscritti (circa 70.000 ko scorso anno). Diverse università hanno un dipartimento di lingua italiana, la Columbia University ospita il proprio Italian Academy for Advanced Studies in America nel prestigioso edificio della Casa Italiana. Non solo si impara l’italiano, ma lo si analizza, se ne studia la letteratura e attorno a essa si dibatte.
La Voce di New York rappresenta un importante veicolo per catalizzare e diffondere questo interesse per la nostra lingua e la nostra cultura. E i suoi dieci anni di vita rappresentano sicuramente un caso di successo. Ma quali saranno i prossimi passi? Quale sfide e progetti attendono La Voce nel prossimo futuro?
Secondo Pioli il primo obiettivo è quello di continuare a far crescere il numero di lettori, sia di lingua italiana che inglese, cercando di promuovere l’acquisto di abbonamenti annuali – disponibili a soli 12 dollari e oggi offerti a un prezzo speciale – che danno accesso a tutti gli articoli e all’archivio. Il percorso dunque è quello che porta a completare la transizione da sito d’informazione a vero e proprio quotidiano digitale.
Ma accanto agli abbonamenti è necessario garantire il finanziamento pubblicitario. E in questa direzione La Voce di New York vuole essere punto di riferimento per aziende italiane interessate al mercato nordamericano, soprattutto quelle di dimensioni medio-piccole che, a differenza delle multinazionali, hanno meno risorse da investire e potrebbero beneficiare di un marchio come quello del giornale, associato immediatamente all’Italia e all’italianità. E naturalmente rafforzare e ampliare i rapporti con la Camera di Commercio, l’Istituto italiano di cultura, la città di New York e tutte le realtà istituzionali italiane e locali.
Infine, un obiettivo vitale è quello di attrarre e trattenere nuovi talenti all’interno della propria redazione. Per questo La Voce di New York vuole contribuire a formare giovani giornalisti bilingui, sfruttando la propria natura di quotidiano poliedrico, che copre dalla cronaca cittadina newyorkese, ai fatti italiani, alle questioni nazionali statunitensi, fino agli affari internazionali che nel Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite hanno il loro punto nevralgico. Alle notizie dall’ONU è dedicata un’intera sezione del giornale.
E proprio nella sede dell’ONU, dove La Voce ha un ufficio, oltre alla sede principale di Park Avenue, ho l’occasione di incontrare una delle giovani leve del giornale. Nicola Corradi, classe 1999, che con Pioli condivide le origini parmigiane, dopo una laurea a Roma in scienze politiche, collabora con La Voce dal 2020, e dallo scorso luglio lavora stabilmente nella sede di New York.
Nicola, mentre mi accompagna a visitare le sale dell’Assemblea Generale e del Consiglio di Sicurezza, luoghi concepiti per favorire la pace e che di questi tempi sono ancor più sotto i riflettori, mi parla della straordinaria occasione professionale e umana che sta vivendo. Per lui trovarsi ogni giorno dentro la più importante organizzazione internazionale del pianeta è un’esperienza entusiasmante. Così come lo è scrivere per La Voce, che gli dà modo di spaziare dagli eventi culturali e la cronaca della “città che non dorme mai” fino alla politica internazionale. La presenza fisica in città, racconta Nicola, «ci permette spesso di dare le notizie ancora prima delle agenzie, e questo fa una enorme differenza». Per un giovane, dice, è un privilegio poter frequentare ambienti esclusivi, conoscere e frequentare persone importanti e interessanti, collaborare con grandi firme del giornalismo e professionisti di ogni campo, americani e italiani, come Tiziana Ferrario, Anna Guaita, Giorgio Comaschi, Luciana Capretti e molti altri. Infine,
ammette che essere italiano, a New York, non è per niente male: «generalmente, quando qualcuno ti sente parlare italiano, ti guarda con ammirazione. La nostra lingua piace, viene ritenuta colta e molto musicale».
Le sue parole mi ricordano quelle della giovane messicana trasferitasi in Italia, che occupava il sedile accanto al mio nel volo di andata. In Messico, mi raccontava, «per dire che qualcosa è particolarmente bello, diciamo “echarse un taco de ojo”, letteralmente “farsi un taco con gli occhi”» (potremmo tradurre con “rifarsi gli occhi”). Ebbene, una sua amica in visita da lei in Italia, dopo aver sentito la nostra lingua le disse che era piuttosto il caso di dire “un taco de orejo”, perché la bellezza più grande la si godeva con le orecchie: il suono della lingua italiana.
Ripenso a queste conversazioni il giorno successivo, mentre rientro in Italia. Noi madrelingua dovremmo ricordarci più spesso di quanto la nostra lingua sia amata e rispettata nel mondo, di quante opportunità inaspettate possa offrire, e noi italiani dovremmo essere grati di essere nati in un Paese come l’Italia, che pur con tanti difetti è unico e inimitabile, e suscita simpatia e stima in tantissimi stranieri.
Ringrazio di cuore Giampaolo e Nicola per avermi accolto con calore, per avermi dedicato il loro tempo e avermi fatto conoscere dall’interno la bella realtà de La Voce di New York. Una realtà che noi di Italofonia.info – da sempre impegnati a creare ponti tra la nostra cultura e le altre e a promuovere la lingua italiana nel mondo – non possiamo che apprezzare.
Facciamo a tutta la redazione un grande in bocca al lupo, con l’augurio di continuare ancora a lungo lo straordinario successo di un progetto davvero speciale.
—
Giorgio Cantoni
(articolo e fotografie)
Condividi questo articolo: