Uno studio analizza l’italiano svizzero: “più chiaro di quello d’Italia”

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Abbiamo parlato recentemente di trasparenza nella comunicazione pubblica, argomento affrontato nell’ultimo libro di Antonio Zoppetti, del quale abbiamo realizzato la prefazione. Tra gli esempi di Paesi attenti alla trasparenza comunicativa – di cui è un esempio l’attenzione a limitare l’uso di anglicismi – avevamo menzionato la Svizzera. La Confederazione è una delle nazioni ad avere l’italiano come lingua ufficiale e, per certi versi, sembra trattarla con più riguardi rispetto a quanto fa l’Italia.

Su questo stesso tema si esprimono ora gli stessi svizzeri, con i risultati di un nuovo studio linguistico apparsi da poco sui maggiori quotidiani elvetici. Lo studio compara l’italiano rossocrociato con quello della Penisola e i risultati sono interessanti.

Nessuna vergogna: l’italiano parlato e scritto in Svizzera ha piena dignità, e la sua forma istituzionale – nonostante alcune peculiarità – si presenta spesso più chiara rispetto a quella in uso in Italia. Le traduzioni dal tedesco e dal francese possono addirittura risultare superiori ai testi originali. Si tratta quindi di una lingua minoritaria, ma non certo di minore valore, come emerge da uno studio linguistico e comparativo condotto dall’Università di Basilea.

“I sociolinguisti affermano che dal punto di vista legislativo non esiste al mondo un idioma di minoranza meglio tutelato dell’italiano in Svizzera,” spiega Angela Ferrari, professoressa di linguistica all’ateneo renano, in un comunicato. “Nel nostro Paese, il multilinguismo ufficiale è assolutamente paritario, indipendentemente dalle percentuali di chi parla realmente le tre lingue ufficiali.”

Insieme a un ampio gruppo di ricercatori, la 64enne ha focalizzato l’attenzione sull’italiano usato dalle autorità elvetiche. Gli studiosi hanno raccolto un ampio corpus di testi ufficiali da diversi contesti comunicativi e hanno confrontato l’italiano svizzero con quello italiano, oltre che con il francese e il tedesco. Hanno lavorato a stretto contatto con la Cancelleria federale e le cancellerie statali del Ticino e dei Grigioni, nonché con i traduttori.

Dall’analisi dei testi, hanno constatato che tra quelli svizzeri e quelli italiani non ci sono differenze significative a livello grammaticale. Tuttavia, nel lessico emergono notevoli scarti, dovuti alla specificità linguistica, politica, sociale e culturale della Confederazione. Ad esempio, in Svizzera si utilizzano termini come “medicamento” accanto a “medicinale”, che non si trovano in Italia, riflettendo le influenze del francese (médicament) e del tedesco (Medikament).

“Ci ha sorpreso la chiarezza dei testi svizzeri,” osserva Ferrari. “Queste peculiarità lessicali portano spesso i ticinesi, e non solo, a considerare l’italiano svizzero come inferiore rispetto a quello italiano. Questo è completamente infondato. L’italiano, come il francese e l’inglese, è una lingua pluricentrica, ovvero è lingua nazionale di più stati. L’italiano svizzero rappresenta un idioma di uno stato autonomo, distinto dall’Italia, e ha il diritto di preservare le proprie peculiarità senza che ciò venga interpretato come una svalutazione.”

Oltre alle differenze lessicali, emerge una distinzione significativa nella comunicazione ufficiale tra i due Paesi di natura pragmatica: i testi svizzeri sono fortemente orientati al lettore, enfatizzando la leggibilità e la comprensibilità. Le frasi sono brevi, non eccessivamente complesse, e il vocabolario è specialistico solo quanto necessario.

“Siamo rimasti colpiti dalla chiarezza dei testi svizzeri rispetto a quelli italiani,” afferma Filippo Pecorari, membro del team di ricerca di Basilea. “Anche l’Accademia della Crusca, una delle massime autorità linguistiche italiane, riconosce che i testi ufficiali italiani sono spesso poco chiari,  burocratici e autoreferenziali”, gli fa eco Ferrari. “Si ha la sensazione che le istituzioni italiane parlino solo tra di loro e per loro, e che non facciano attenzione alle persone che dovrebbero davvero leggere e capire i testi”.

Se nei testi ufficiali in Svizzera e in Italia la stessa lingua è usata in modo diverso, ciò è dovuto senz’altro a ragioni storiche, politiche e culturali, ma anche al particolare processo della loro produzione.

“I testi ufficiali della Confederazione Svizzera in italiano sono quasi sempre traduzioni di testi in tedesco o in francese. Ora, sorprendentemente, questo non è un ostacolo, bensì un’opportunità per la loro qualità comunicativa”, sottolinea la professoressa. I traduttori della Confederazione agiscono come attenti ‘collaudatori’, verificano cioè se il testo di partenza è coerente e chiaro, e se c’è bisogno corrono ai ripari. “Per via della componente metalinguistica che caratterizza la traduzione, hanno una visione del testo più distante e critica: è per questa ragione che a volte e inaspettatamente i testi tradotti sono più chiari e meglio strutturati degli originali”.

È interessante osservare che i testi ufficiali di carattere normativo vengono tradotti a mano a mano che, nel corso delle varie sedute parlamentari, gli originali vengono prodotti, discussi e eventualmente riformulati. Secondo Ferrari è un’opportunità notevole, che può portare addirittura a retroagire sul testo originale in tedesco, e a correggerlo sia nei contenuti sia nella forma.

Rispetto all’italiano scritto, la situazione del parlato è diversa. I ricercatori si stanno concentrando ora sulla comunicazione ufficiale orale, che a Palazzo federale è davvero poco presente. “Abbiamo osservato che la percentuale di italiano parlato aumenta non appena un politico ticinese siede in governo o anche solo in parlamento. Purtroppo però, anche in questo caso, l’italiano è relegato ai saluti e agli aspetti procedurali più triti: le informazioni più importanti sono comunque formulate in tedesco o in francese”.

La paura e il rischio di non essere compresi dai colleghi di governo e dagli altri parlamentari spingono i politici italofoni a esprimersi in tedesco o in francese. “Da chi è alla guida di un paese ufficialmente multilingue si dovrebbe poter pretendere almeno una competenza di tutte le lingue ufficiali: il che dovrebbe valere idealmente anche per i funzionari federali”, conclude l’accademica che è stata presidente della Società internazionale di linguistica e filologia italiana.

 


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