Sul dovere delle istituzioni

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Renée Michel, colta portinaia di un condominio dell’alta borghesia parigina, è la protagonista del romanzo « L’eleganza del riccio » di Mauriel Barbery. Ad un certo punto dell’intreccio, la donna amante di letteratura e cinema riceve una lettera da una delle inquiline, una tale madame Pallières, dama elitista e moglie di un ricco uomo d’affari. La missiva, breve, recita :

  • « Madame Michel, potrebbe, ricevere i pacchi della tintoria questo pomeriggio ? ».

Se a qualcuno non fosse saltato agli occhi, o pensa sia solo un errore di battitura, preciso :« Madame Michel potrebbe,(virgola) ricevere i pacchi della tintoria questo pomeriggio ? ». A questo punto Renée, tra sé e sé, si adira per lo scempio ortografico della Signora :

  • «[…]Sabine Pallières non è scusabile. I favori della sorte hanno un prezzo. Per chi beneficia dell’indulgenza della vita, l’obbligo al rigore nella considerazione della bellezza non è negoziabile. La lingua, ricchezza dell’uomo, e i suoi usi, elaborazione della comunità sociale, sono opere sacre. Che con il tempo evolvano, si trasformino, si dimentichino e rinascano, che talora la loro trasgressione divenga fonte di una maggiore fecondità, non esclude affatto che prima di prendersi la libertà del gioco e del cambiamento occorra aver dichiarato loro piena sudditanza. Pertanto gli eletti della società, coloro che la sorte esclude da quelle servitù destinate al povero, hanno la duplice missione di adorare e rispettare lo splendore della lingua ».

Questo passaggio del libro può essere un invito a riflettere su quanto accade nello Stivale. Come possiamo accettare che i nostri eletti abusino e storpino la lingua italiana con inopportuni anglicismi ? Come possiamo permettere termini oscuri, incomprensibili e fuorvianti a chi dovrebbe essere alla guida del Nostro Paese? Come accettare di essere rappresenti da chi per voglia, pigrizia o ignoranza non è attento all’uso della parola, loro, che hanno « l’obbligo al rigore » linguistico? Insomma, che un adolescente tiri fuori un lockdown per fare il figo può anche passare, ma non è ammissibile che un politico emani act (o acts, a voi la scelta) o mi imponga delle tax.

Se la Repubblica è la « cosa pubblica », il pubblico in questione è l’Italia, e questa parla italiano; i governanti devono avere il dovere, prima morale che istituzionale, di rispettare la cultura del popolo che governano. Se certi principi di coerenza e buon senso non vengono rispettati, perché mai sarebbe sbagliato legiferare al rispetto, e quindi all’occorrenza sanzionare? Sarebbe realmente così empio stabilire che, in Italia, la lingua ufficiale delle istituzioni e del lavoro (ossia le fondamenta di uno stato nazione) sia l’italiano? Sarebbe mai cosi irriverente indicare nero su bianco nella nostra Costituzione* che l’Italiano è la lingua ufficiale?

Forse vi sembreranno altezzosi o anacronistici i nostri cugini francesi, i quali difendono costituzionalmente la loro lingua. Ma vi risulta anti-moderno essere orgoglioso di chi si è? O al contrario vi pare cosa nobile, vedasi avanguardista, abnegare la propria identità, umiliarsi e lasciarsi soggiogare in nome di… ? Di cosa, io, non l’ho ancora capito, a meno che ciò a cui si aspiri sia il servilismo volontario.

 

Ciro BOSSA

*La Costituzione della Repubblica Italiana non indica l’italiano come lingua ufficiale https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_italiana#Italia

https://www.change.org/p/sergio-mattarella-basta-anglicismi-nel-linguaggio-istituzionale-viva-l-italiano-litalianoviva

(1)- Muriel Barbery,  L’eleganza del riccio ,Edizioni e/o, 2009

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