Condividi questo articolo:
Stupor Mundi, questa è l’espressione latina scelta per rappresentare le gesta degli atleti olimpici italiani a Tokyo 2020, le cui gare hanno preso il via ieri. La meraviglia del mondo oggi non è più l’impresa militare di qualche generale romano, ma sono le imprese della Squadra Olimpica. Ma forse la meraviglia più grande la suscita il CONI, comitato olimpico nazionale, che è riuscito in un impresa che davvero provoca stupore. L’Italia infatti non ha più una squadra ma un team. Un team itanglese: l’Italia Team.
Il nome non è una novità, è stato introdotto nelle ultime Olimpiadi di Rio, secondo il solito schema: in Italia si è ormai incapaci di concepire l’italiano come qualcosa in grado di esprimere il mondo e di esprimersi nel mondo, fuori dai confini nazionali. E dunque non ci si può presentare in un contesto internazionale con una squadra olimpica, ma ci vuole un olympic team:
E da Italia Olympic Team a Italia Team il passo è stato breve. Ora, vedremo se la transizione si compirà nei prossimi anni con Italy Team fino forse a coronarsi con un’edizione italiana delle olimpiadi dove si presenterà finalmente il Team Italy.
Siamo gli unici a farlo? Non lo siamo, ma come sempre è interessante guardarci un po’ intorno per capirne di più. Intanto premettiamo che non c’è alcuna esigenza reale di creare un nome (o meglio dire un marchio, anzi un brand) per la squadra olimpica. L’Italia ha sempre gareggiato sfoggiando lo scudetto tricolore sormontato dalla scritta Italia e dai cerchi olimpici e ciò risultava piuttosto chiaro. Così continuano a fare la maggior parte dei Paesi. Alcuni invece hanno intrapreso un percorso più “commerciale” per creare un’identità attorno alla squadra, in alcuni casi facendo ricorso all’inglese. Per esempio è il caso dell’Ungheria, che ha coniato il nome Magyarock, che unisce la parola magyarok (“ungheresi”, al plurale) con rock, inglese. We are Magyarock, we rock!, che potremmo tradurre liberamente con “Siamo ungheresi, spacchiamo!”. C’è poi la situazione di piccoli paesi plurilingui, come il Belgio, che sceglie Team Belgium (mettendo le parole nell’ordine giusto) come unione di un Paese profondamente diviso tra componente francofona e fiamminga.
Certo, non è l’unico approccio, dato che il Canada bilingue sceglie il doppio nome Team Canada / Équipe Canada e cerca di rendere tutti i contenuti multimediali il più possibile accessibili sia in inglese che in francese:
Il simbolo sulle divise, semplicemente la foglia d’acero con i cerchi olimpici, universale e chiara. Come lo ero lo scudetto italiano, prima di sentire il bisogno impellente di scriverci sopra in inglese, prima a Rio 2016 e ora a Tokyo 2020 (venti-venti, si sente dire sempre più spesso) passando per i Giochi invernali del 2018.
Naturalmente Paesi come la Francia o la Spagna non si sognano neppure di ricorrere a una lingua straniera per identificare la propria squadra. Molti Paesi ispanofoni non hanno profili sociali della squadra ma solo quello del comitato olimpico, e poi usano motti come #ElCorazónDeEspaña o #EquipoARG, per citare la Spagna e l’Argentina.
Per quanto riguarda gli atleti francesi, loro sono l’Equipe de France, non certo il France Team:
In Italia ormai invece ci sono i Super Champs dell’Italia Team, come recita il nome di una raccolta di figurine (o stickers?) di una nota catena di supermercati dalla lunga consonante…
Neppure nell’anno in cui la nazionale di calcio ha conquistato la Coppa d’Europa con tanti giovani e un bel gioco, partendo da una mancata qualificazione mondiale, neppure nell’anno in cui i tricolori sventolano ad ogni balcone, molti appesi lì fin dai tempi del primo confinamento (o lockdown?) di una pandemia che nei primi mesi ha rafforzato il senso di comunità, nemmeno in questo anno l’Italia riesce a ridare dignità e senso alla propria lingua, uno dei simboli di unità più forte, nata molto prima dello stato nazionale e avvertita, accanto alle parlate regionali, come uno dei primi segni di appartenenza a una realtà comune.
Come ha scritto Antonio Zoppetti sul suo blog, l’Italia ha sconfitto in finale l’Inghilterra ma non ce la fa a sconfiggere l’itanglese e quel complesso d’inferiorità collettivo che lo alimenta. Un nostro collaboratore raccontava qualche giorno fa che il suo capo, parlando in una riunione con colleghi di altri paesi, alla dichiarazione di un inglese che con una punta di orgoglio comunicava di voler imparare l’italiano dato che aveva molti amici e colleghi italiani, rispose secco: “Italian is not so important”. La risposta del collega inglese, in italiano: “Perché? .. Perché?!”…
Perché l’italiano non dovrebbe essere importante per chi lavora o vive stabilmente a contatto con italofoni, anche dove questi conoscono l’inglese? Perché, in ogni caso, non dovrebbe far piacere che uno straniero si prenda la briga di imparare la nostra lingua, perché frustrare in partenza il suo entusiasmo?
Ecco, ce lo domandiamo anche noi: perché? Vorremmo capire perché abbiamo una così bassa percezione di una lingua che è ammirata nel mondo per i più svariati motivi, che pur avendo un numero di parlanti inferiore ad altre, è studiata e amata. Forse dovremmo ricostruire intorno alla nostra lingua un senso di comunità, uno spirito di squadra, non di team, che ci farebbe un gran bene. Facciamo appello al CONI e alle istituzioni politiche italiane perché riflettano su questo. Stiamo cercando anche di stimolare un dibattito parlamentare attorno a una proposta di legge seria e trasversale ai partiti politici. Perché un Paese che si vergogna della propria lingua si vergogna di se stesso e forse sarebbe il caso di ragionarci sopra. Tutti insieme.
—
Foto: Italia Team e altre squadre olimpiche, via FB
Questo sito è gestito gratuitamente da volontari che ne sostengono i costi. Aiutaci donando una cifra a tua scelta:
Condividi questo articolo: