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Il gruppo Incipit dell’Accademia della Crusca che si dovrebbe occupare di suggerire tempestivamente alternative italiane ai forestierismi incipienti, nel suo comunicato della scorsa settimana (purtroppo solo il ventiduesimo in otto anni) ha trattato del “Piano Scuola 4.0” del Ministero dell’Istruzione. Il ministro nel frattempo è cambiato ma il Piano, naturalmente, è rimasto. Un documento che ha lo scopo di inquadrare le attività didattiche orientate al futuro, legate alla digitalizzazione.
La scrittrice Susanna Tamaro sul “Corriere della Sera” del 20 dicembre 2022 lo ha definito però “altamente preoccupante”. Tra i vari motivi di questo giudizio, anche quelli linguistici. Ha parlato di eccessiva abbondanza di termini inglesi, di “pomposo fraseggio atto a mascherare la fumosità degli intenti”. Il programma dovrà avvenire in quattro passaggi: “Background, il primo, Framework, che unisce il secondo e il terzo e, da ultimo, Roadmap“. Ma, continua la scrittrice, “questi passaggi risultano piuttosto oscuri e ancora più oscuro mi appare il modo di realizzarli”. Si può continuare registrando alcuni anglismi presenti nel testo: la trasformazione degli ambienti di apprendimento va sotto il nome di Next generation classrooms; le “azioni” sono definite Next Generation Class, Next Generation Labs; è prevista la rendicontazione di milestone e target; sono evocati i principi del Do No Significant Harm, si parla di check list, di compiti di driver dell’innovazione, mentoring, Digital board, peer learning, problem solving, multiliteracies, debate, gamification, making, blockchain, Task force Scuole, outcome. Anche la rivista specialistica La tecnica della scuola è intervenuta in maniera critica il 7 gennaio 2023 condannando quello che appare un eccesso di anglicismi. L’autore definiva il Piano un “concerto di sudditanza linguistica e culturale. Sudditanza che induce subalternità psicologica ed emotiva: possibile che un “ministero dell’istruzione” non se ne renda conto?”.
Il gruppo Incipit sposa la tesi della Tamaro e de La tecnica della scuola, sostenendo che questo eccesso di parole inglesi inficia la comprensione del testo, rendendo il contenuto oscuro e fumoso. Purtroppo, data l’enorme quantità di anglicismi e data la difficoltà a riscrivere l’intero documento, poiché esso è parte del PNRR italiano, la Crusca propone altre soluzioni.
Per esempio che si metta in circolazione una versione del Piano “tradotta” per gli utenti comuni non specialisti, o, più semplicemente, si unisca al documento un glossario interpretativo autentico, in cui si fornisca una spiegazione univoca degli anglismi utilizzati, non solo per verificarne la necessità, l’uso appropriato e la coerenza, ma anche per renderne chiaro a tutti, operatori della scuola e cittadini, il reale contenuto del programma. Come sempre, tradurre significa prima di tutto capire meglio e riflettere sul significato delle parole.
Il governo italiano attuale sta mostrando una diversa sensibilità nei confronti della lingua italiana, che apprezziamo, in attesa di capire quali sviluppi concreti potrà avere. Speriamo che da ora in poi i ministeri prestino maggiore attenzione al linguaggio che usano e che abbiano il coraggio di scrivere in una lingua chiara e accessibile a tutti. Lingua italiana, chiaramente.
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